SLA. Uno studio la lega allo smog.
SLA, studio MNESYS svela il meccanismo del legame con lo smog. Scoperte anche “stampelle molecolari” contro difetto del gene chiave del Parkinson.
L’esposizione alle polveri sottili può contribuire allo sviluppo della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), una malattia neurodegenerativa che conduce rapidamente alla morte per paralisi e asfissia e che ad oggi non ha una terapia farmacologica efficace. “L’associazione tra SLA e particolato atmosferico è stata già rilevata in molti studi epidemiologici per la capacità dello smog di aggirare la barriera ematoencefalica che protegge il cervello dall’essere raggiunto da elementi esterni – afferma Tullio Florio, ordinario di Farmacologia presso l’Università diGenova e coordinatore dello Spoke 6 -. L’esposizione alle polveri sottili può indurre, così, stress ossidativo e neuroinfiammazione con conseguente neurotossicità e deterioramento cognitivo. Tuttavia, ad oggi, sono poco noti i meccanismi alla base di questo legame indagato dallo studio condotto dallo Spoke 6 di MNESYS dedicato a “Neurodegenerazione, trauma e ictus”, intitolato Ultrafine particulate matter pollution and dysfunction of endoplasmic reticulum Ca2+ store: A pathomechanism shared with amyotrophic lateral sclerosis motor neurons? e pubblicato su Ecotoxicology and Environmental Safety a marzo 2024 dal gruppo di ricerca di Farmacologia del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Napoli Federico II, coordinato dalle professoresse Agnese Secondo e Antonella Scorziello”.
“Già da qualche anno sappiamo che la SLA scaturisce da cause ambientali e recenti ricerche hanno stabilito una correlazione tra inquinamento atmosferico, in particolare quello provocato dal traffico, e rischio di sviluppare questa malattia – riferisce Agnese Secondo, professoressa di Farmacologia dell’Università Federico II di Napoli -. Il nostro studio ha esplorato la connessione tra l’esposizione a smog e la SLA indagando alcuni meccanismi molecolari che causano la perdita dei motoneuroni, cioè di tutti quei neuroni localizzati all’interno del sistema nervoso centrale che hanno la funzione di controllare direttamente o indirettamente i muscoli e il loro movimento. Dallo studio è emerso come PM0.1 e NP20, particelle di dimensioni ultrafini e nanometriche, siano in grado di indurre una forma di neurodegenerazione simile alla SLA, caratterizzata dalla disfunzione e disregolazione di proteine essenziali per la sopravvivenza neuronale. Tale evidenza scientifica sarà utile per l’identificazione di bersagli molecolari nella SLA verso cui indirizzare nuovi possibili farmaci”, aggiunge Secondo.
La ricerca dello Spoke 6 si sta concentrando anche sui meccanismi alla base delle demenze e del Parkinson, al fine di identificare nuovi trattamenti terapeutici. Il gruppo di ricerca dell’Università di Firenze coordinato dalla dottoressa Francesca Clemente, ricercatrice MNESYS e dalla professoressa Francesca Cardona, professore associato di Chimica Organica, nel lavoro pH-Responsive Trihydroxylated Piperidines Rescue The Glucocerebrosidase Activity in Human Fibroblasts Bearing The Neuronopathic Gaucher-Related L444P/L444P Mutations in GBA1 Gene pubblicato su ChemBioChem a ottobre 2023, ha valutato una possibile via sperimentale per rimediare all’alterazione del gene GBA1 che, ad oggi, rappresenta il fattore di rischio genetico più comune per lo sviluppo della malattia di Parkinson e che provoca un deficit nell’attività dell’enzima glucocerebrosidasi (GCase) dovuta a una sua errata struttura molecolare. “La ricerca ha scoperto delle nuove “stampelle molecolari”, molecole organiche con struttura simile a quella degli zuccheri, in grado di correggere la struttura errata dell’enzima GCase, permettendogli di continuare a svolgere il suo ruolo e rappresentando quindi un promettente nuovo approccio terapeutico per una malattia attualmente orfana di cura”, spiega la professoressa Francesca Cardona, del Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff” dell’Università di Firenze.
Nuove ipotesi terapeutiche, questa volta indirizzate al trattamento della malattia di Alzheimer, sono state valutate nello studio Plasma and cerebrospinal fluid cholesterol esterification is hampered in Alzheimer’s disease condotto dal gruppo di ricerca di Farmacologia dei lipidi dell’Università di Parma, coordinato da Franco Bernini e pubblicato su Alzheimer’s Research & Therapy a maggio 2023. Questo lavoro, insieme a ricerche precedenti, PCSK9 Affects Astrocyte Cholesterol Metabolism and Reduces Neuron Cholesterol Supplying In Vitro: Potential Implications in Alzheimer’s Disease del 2022 sull’International Journal of Molecular Sciences e Increased PCSK9 Cerebrospinal Fluid Concentrations in Alzheimer’s Disease del 2017 sul Journal of Alzheimer’s disease, si è occupato dello studio del colesterolo del cervello per identificare nuovi bersagli farmacologici nel trattamento dell’Alzheimer. “Il colesterolo è essenziale per le funzioni dei neuroni, ma questi in età adulta non sono però in grado di sintetizzarlo efficacemente – afferma Franco Bernini, professore ordinario di Farmacologia del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell’Università di Parma -. Nel cervello dell’adulto il colesterolo viene prodotto da varie cellule, tra cui gli astrociti, che hanno il compito di garantirne un adeguato apporto ai neuroni. Tale apporto è essenziale, perché la presenza della barriera ematoencefalica isola il colesterolo cerebrale da quello presente nel sangue. Nel cervello dei pazienti con Alzheimer è però presente un alto livello di una proteina, già nota per il suo ruolo nel metabolismo del colesterolo, denominata PCSK9, capace di limitare il trasporto di colesterolo dagli astrociti ai neuroni, con potenziali effetti neurodegenerativi. A conferma di tale ipotesi, anche lo studio, condotto dallo stesso gruppo di ricerca, PCSK9 ablation attenuates Aβ pathology, neuroinflammation and cognitive dysfunctions in 5XFAD mice pubblicato a novembre 2023 su Brain, Behaviour and Immunity, che ha dimostrato come il silenziamento genico di PCSK9 in topi con malattia di Alzheimer ne abbia migliorato significativamente le funzioni cognitive e ridotto l’accumulo di beta amiloide, lo stesso peptide tossico che si accumula nel cervello dei malati”, chiarisce l’esperto.
“I risultati ottenuti sono promettenti in quanto aprono la strada allo sviluppo di strategie terapeutiche innovative. A questo riguardo, la ricerca si sta ora orientando verso lo studio di nuove molecole capaci di inibire la proteina PCSK9 nel cervello. Tale effetto ripristinerebbe un adeguato rifornimento di colesterolo al neurone preservandone la funzionalità e contribuendo quindi a contrastare la malattia di Alzheimer”, conclude Bernini.
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