Salute, nuova indagine mondiale Umem sul rischio suicidi.
Al primo posto assoluto ci sono le Dottoresse, con il 76% di possibilità di pericolose depressioni.
Aodi: la nostra indagine, a livello italiano, rileva che la prima ragione di possibile rischio di pensieri suicidi è legata all’escalation di aggressioni, con una percentuale del 28%. A seguire ci sono la medicina difensiva (24%) e lo stress del lavoro nella carente sanità pubblica (19%).
ROMA 4 OTT 2024 – Il Prof. Foad Aodi, medico e giornalista, esperto di salute globale, fondatore e leader di Amsi, Associazione Medici di Origine Straniera in Italia, con Umem, Unione Medica Euromediterranea e il Movimento Internazionale Uniti per Unire, continuano nella loro campagna di comunicazione, ricerca, indagine e analisi statistiche sulla condizione fisico-psichica dei professionisti sanitari, nonché nella tutela dei diritti degli stessi, in un dialogo costante con le istituzioni.
Il nuovo studio di Aodi, grazie anche al supporto dei colleghi dell’Umem sparsi per il mondo, e al lavoro proficuo del team di Radio Co-mai Internazionale, in oltre 120 paesi, ha analizzato solide fonti provenienti da numerosi nazioni e ha rilevato, in tal senso, che le dottoresse sono complessivamente la categoria sociale maggiormente a rischio di suicidio nel mondo, con l’allarmante percentuale del 76% in più rispetto alle altre persone.
Foad Aodi ha analizzato i risultati di 39 studi provenienti da 20 nazioni e ha monitorato i tassi di suicidio e il loro rapporto con varie professioni.
Con il supporto dei ricercatori di Umem, è stato scoperto, come detto, che le dottoresse hanno molte più probabilità di suicidarsi (76%) rispetto agli altri membri della popolazione generale.
Sebbene non sia stato riscontrato alcun aumento complessivo dei tassi di suicidio tra i medici uomini rispetto alla popolazione generale, un’analisi separata dei dati ha rilevato che i medici uomini hanno un rischio più elevato di suicidio rispetto ad altri gruppi professionali con “stato socio-economico simile”.
«Nel complesso, questo studio evidenzia la continua necessità di misure di prevenzione del suicidio tra i medici, esordisce Aodi. Abbiamo trovato prove di un aumento dei tassi di suicidio tra le dottoresse rispetto alla popolazione generale, e tra i medici uomini rispetto ad altri professionisti.
La recente epidemia (Covid-19) ha esercitato ulteriore pressione sulla salute mentale dei medici, il che può esacerbare i fattori di rischio per il suicidio come la depressione e l’abuso di sostanze.
Un operatore sanitario su 10 che esercita negli ospedali e pronto soccorso ha avuto pensieri di suicidio durante la Pandemia, continua Aodi, le cause sono il costante rapporto con la morte negli ospedali, lo stress a cui si era sottoposti, la mancanza di presidi di sicurezza,
Durante l’esplosione del Coronavirus, nel mondo, il 10,8% dei lavoratori della sanità ha avuto pensieri suicidi, soprattutto nella fase più delicata, quella iniziale, mentre il 2,1% avrebbe effettivamente tentato il suicidio.
L’11,3% dei lavoratori della sanità che ha riferito di aver avuto pensieri suicidi, ha riferito invece di averli sperimentati dopo un po’ di tempo.
Il 55% dei professionisti sanitari nel mondo ha sottolineato di aver subito una forte pressione psicologica e di non aver ricevuto un sostegno sufficiente dalle proprie direzioni sanitarie», dice ancora Aodi.
Tornando ai giorni nostri, e cercando di individuare le principali motivazioni che potrebbero generare pensieri suicidi in un professionista sanitario, al primo posto, con il 28%, ci sono, senza dubbio alcuno, le aggressioni subite dai cittadini, fomentate, sia chiaro, sia dalla scarsa sicurezza degli ospedali, sia dalla disorganizzazione dei sistemi sanitari. Nel nostro Paese, ricordiamolo, le violenze subite da medici e infermieri, su tutti, toccano l’allarmante percentuale del 42%. Questo significa che il 42% dei professionisti è stato vittima di almeno un episodio di violenza e questo genera, certamente, stress emotivo, ansia, paura, cicatrici e traumi spesso invisibili che conducono verso una pericolosa depressione.
Al secondo posto, con il 24%, c’è la medicina difensiva, con le denunce contro i professionisti sanitari, spesso gonfiate ad arte, che generano mancanza di serenità, stati ansiogeni, timore di perdite di immagine, e questo conduce verso una possibile depressione. Laddove, poi, si devono pagare i danni di un processo ingiusto, aumenta in modo esponenziale il rischio di contraccolpi psicologici.
Al terzo posto, con il 19%, tra le motivazioni, ci sono i turni massacranti, la disorganizzazione, le carenze delle strutture sanitarie, che generano un netto aumento della possibilità di depressione, soprattutto tra le donne della sanità, coloro che devono, al di fuori delle realtà ospedaliere, sostenere anche il peso della famiglia, come madri, mogli, magari dovendosi occupare di figli o parenti malati. In questo caso per i professionisti che si sentono letteralmente abbandonati a se stessi da istituzioni e direzioni sanitarie, aumenta il potenziale rischio di depressione, causato anche dalle scarse prospettive di carriera.
Per quanto riguarda le aree dove si registra maggiore rischio di subire malattie depressive e ansiogene, apri pista di possibili pensieri depressivi, al primo posto con il 19% ci sono i pronto soccorsi, con i reparti di emergenza-urgenza, e in particolare anche le aree di terapia intensiva e chirurgia d’urgenza, dove il professionista vive maggiormente il contatto con la morte dei pazienti e dove occorre intervenire in modo repentino per salvare le vite umane, con aumento di dispendio di energie psico-fisiche.
Al primo posto, tra le categorie di professionisti dell’area della dirigenza medica, maggiormente a rischio suicidio, ci sono i medici di famiglia, seguiti poi da pediatri e ginecologi.
Ma a superare, nel rischio, tutte le categorie sanitarie ci sono gli infermieri, sottoposti a maggiori stress lavorativi a causa della cronica carenza di colleghi e agli organici ridotti all’osso, con possibilità di carriera e remunerazioni inferiori a quelle della dirigenza medica.
Così Aodi nella sua conclusione: oltre l’80% dei professionisti sanitari italiani ed europei aspirerebbe a maggiore attenzione, nei propri confronti, da parte di Governi e Regioni, nei confronti delle proprie condizioni psico fisiche, chiedendo maggiore supporto all’interno dei medesimi luoghi di lavoro dove prestano servizio.
Il 55% non denuncia la propria condizione di stress psicologico, spesso causando un peggioramento delle proprie condizioni, con il timore di compromettere il proprio posto di lavoro».
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