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Pronto Soccorso di Susa verso il collasso: “Lasciamo a casa chi ci tiene in piedi, Infermieri e OSS”.

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Immaginate un Pronto Soccorso in una valle di montagna, già in affanno per carenza cronica di personale. Adesso tolgono quattro pezzi fondamentali del puzzle – due infermiere e due OSS – e nessuno li sostituisce. Succede a Susa, e non è un film drammatico, ma la realtà.

“Formiamo il personale, poi lo mandiamo via”.

Queste quattro professioniste erano assunte a tempo determinato tramite agenzia interinale. Ormai le conoscevano tutti: esperte, integrate nel team, residenti in zona. Finalmente il PS respirava, con turni coperti e servizi più sicuri, anche di notte e nei weekend. E ora? A fine mese, licenziate.

“Assurdo”, tuona Giovanni Marino del Nursind“In un momento in cui infermieri e OSS scarseggiano dappertutto, noi qui li formiamo, li facciamo ambientare… e poi li lasciamo andare? È come se un ristorante, dopo aver trovato finalmente dei cuochi, li mandasse via perché ‘tanto i clienti aspettano’.”

Le conseguenze? Turni massacranti e rischi per i pazienti:

  • Chi resta dovrà fare il doppio degli straordinari, già ora non è raro vedere infermieri in turni di 12 ore.
  • Se qualcuno si ammala o va in ferie, il reparto rischia di non garantire il servizio.
  • Turisti e residenti pagheranno il prezzo: tempi d’attesa più lunghi, meno personale per le emergenze.

Perché proprio a Susa?

Perché qui trovare personale è già un miracolo:

  • Lavorare in montagna significa strade innevate, reperibilità complicate, stipendi non certo da grandi città.
  • D’estate e d’inverno il PS si riempie di turisti (sciatori, escursionisti, anziani con patologie croniche).

“E invece di aggrapparsi a chi c’è, li lasciamo andare”, sbotta Marino. “Queste colleghe adesso dovranno cercare lavoro magari a Torino o in altre regioni, mentre noi qui torneremo a fare i salti mortali per coprire i buchi.”

Cosa chiede il sindacato?

  1. Bloccare i licenziamenti e rinnovare i contratti.
  2. Stabilizzare il personale precario, invece di formarlo e poi perderlo.
  3. Investire nella sanità montana, che non può essere sempre la Cenerentola del sistema.

La domanda ora è: l’ASL ascolterà? Perché se non cambia idea, il rischio è che a pagare siano i pazienti e i pochi infermieri rimasti, già stremati da anni di carenze.

Se anche a te sembra una follia, Nursind ha lanciato una raccolta firme. Perché la sanità di montagna non può essere sacrificata.

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