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Nurse24 | Gestione degli Accessi Vascolari: simulazione e prova pratica.

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Immaginate di essere un paziente costretto a sottoporsi a terapie lunghe e invasive. Ogni volta che entrate in ospedale, è un incubo: le vene “difficili”, gli aghi che cercano un varco, il dolore delle punture multiple. Eppure, proprio ieri a Catania, un gruppo di professionisti sanitari ha dimostrato che le cose possono – e devono – cambiare.

“Gestione degli Accessi Vascolari: simulazione e prova pratica” non era il solito corso noioso. L’ho visto coi miei occhi nell’auditorium delle Suore Domenicane: una ventina di infermieri e studenti letteralmente incurvati su simulatori high-tech, mentre Giovanna Spanò, la coordinatrice del PICC Team del Policlinico S. Marco, spiegava con pazienza: “No, così rischi di sbagliare angolazione. Riproviamo”.

Calogero Coniglio, presidente dell’ANAFePC, mi prende da parte: “Sai quanti pazienti potremmo aiutare con queste tecniche? Quanti anziani potrebbero evitare il viavai in ospedale?”. I suoi occhi brillano quando parla dei PICC, quei cateteri intelligenti che, una volta posizionati, permettono cure a domicilio sicure e senza traumi.

La scena più emblematica? Un gruppo di studenti universitari di Infermieristica che, per la prima volta, provano l’emozione di “sentire” il decorso di una vena attraverso un simulatore. “È completamente diverso da quello che studiamo sui libri”, sussurra una ragazza mentre la tutor le corregge la presa.

Silvio Caceci, coordinatore della Pneumologia, ci tiene a precisare: “Non è solo questione di tecnica. Lavaggio delle mani, protocolli antisettici – qui si gioca la differenza tra un intervento riuscito e un’infezione ospedaliera”. E infatti, nella seconda parte del corso, metà del tempo è dedicata proprio a queste “banalità” che salvano vite.

Ma la vera rivoluzione è culturale. Maurizio Cirignotta, vicepresidente ANAFePC, lo dice chiaro: “Dobbiamo smetterla col ‘si è sempre fatto così’. Questi dispositivi riducono le sofferenze dei pazienti e i costi per il SSN. È nostro dovere aggiornarci”.

Mentre me ne vado, incrocio un’infermiera che mostra orgogliosa il suo attestato. “Finalmente potrò aiutare meglio la mia paziente oncologica”, mi confessa. Ecco, forse è questo il senso di tutto: formare professionisti per umanizzare davvero le cure. Perché, come dice Giovanna Spanò mentre ripone i simulatori, “nessuno dovrebbe soffrire più del necessario”.

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