Missione Giugno 2024 Adwa (Etiopia). Nella terra del dolore, restituito il sorriso a ben 52 bambini.
SPECIALE REPORTAGE MISSIONE ETIOPIA 2024.
Le toccanti testimonianze di suor Laura Girotto, coordinatrice della Missione Adwa, del chirurgo Tania Fazio e del Presidente e Fondatore di Emergenza Sorrisi, Dott. Fabio Abenavoli.
Gli uomini e le donne con il camice bianco nella valigia, che arrivano da lontano per una “missione chiamata speranza”, hanno vissuto da subito, davanti ai loro occhi, come in un “imprinting del dolore”, uno spettacolo di angoscia e sofferenza che non avrebbero mai nemmeno immaginato potesse esistere.
Poche ore di aereo dall’Italia, siamo in Etiopia: qui, dal 15 al 23 giugno scorso, ha avuto inizio, ed è stata portata brillantemente a termine, una missione medica ed umanitaria a dir poco incredibile.
Le competenze, l’immensa carica umana e il cuore che batte forte, dei volontari di Emergenza Sorrisi, hanno ancora una volta fatto la differenza.
L’associazione dal lontano 2007 presente in 27 paesi del mondo, che con i suoi 600 professionisti sanitari tra medici e infermieri, fin qui, “nella sua storia”, ha portato a termine circa 6mila interventi su bambini di “paesi difficili”, per la prima volta ha “messo piede” in uno dei paesi più grandi del continente africano.
L’organizzazione di Emergenza Sorrisi è stata contattata nel febbraio di quest’anno dall’Associazione Padovana Operatori Sanitari (ASPOS) e dai vertici dell’ospedale Kidane Mehret di Adwa, nel martoriato Tigray, gestito dall’impegno instancabile e dall’infinita umanità delle suore salesiane, allo scopo di portare cure mediche specialistiche a bambine e bambini con gravi malformazioni.
L’ospedale Kidane Mehret, supportato più volte nella sua evoluzione, anche dal Governo italiano, e che prende nome proprio dalla Missione salesiana nata nel lontano 1993, è situato su un appezzamento adiacente proprio all’attività delle religiose, messo a disposizione dall’amministrazione comunale di Adwa.
Proprio la città di Adwa è stata al centro di un conflitto tra il governo federale etiopico e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf) tra il novembre 2020 e il novembre 2022, una delle tante guerre dimenticate dai media, ma che ha coinvolto 6 milioni di persone, spegnendo migliaia di vite
innocenti.
Suor Laura Girotto, coraggiosa e combattiva missionaria con esperienze in Egitto, Siria, Libano, Zaire, e come detto dal 1993 ad Adwa, assieme alle consorelle, ha costruito quel miracolo che è la missione Kidane Mehret, nata dal nulla, come un fiore nel deserto, su un terreno brullo, devastato dalla guerra.
La guerra, ce lo racconta la testimonianza diretta di Suor Laura, oggi ha lasciato cicatrici invisibili: la strada della risalita è impervia, è come un percorso intriso di rovi e di spine.
In Etiopia c’è bisogno di tutto, c’è bisogno soprattutto di ripartire da zero, c’è bisogno in particolar modo di fondi continui per strumenti e attrezzature sanitarie all’avanguardia, nonostante l’ospedale di Adwa sia davvero una perla rara in una nazione che, probabilmente, come ha dichiarato ai nostri taccuini Suor Laura, vive una realtà ancor peggiore di quando il conflitto era in atto.
E questo nonostante i graduali passi in avanti nella sanità, non ancora accessibile a tutti, ma certamente cresciuta notevolmente in questi anni, grazie anche all’impegno dei Paesi economicamente più forti, con le cooperazioni internazionali da una parte, e le risorse portate in dote dalle associazioni umanitarie dall’altra, che fanno della solidarietà internazionale lo strumento numero uno per permettere all’Etiopia di provare a sopravvivere.
La situazione umanitaria della Regione del Tigray continua a vivere il dramma di una grave e profonda crisi. Le strutture sanitarie sono state profondamente danneggiate durante il conflitto, con molti ospedali e cliniche rasi al suolo o incapaci di operare. Nonostante alcuni sforzi di ricostruzione, molte aree del Tigray sono ancora prive di accesso a cure mediche essenziali.
La mancanza di forniture mediche e di personale sanitario qualificato rimane un problema di non poco conto.
Le organizzazioni umanitarie continuano a fornire assistenza, ma il lavoro da fare è immenso.
L’ospedale Kidane Mehret è rimasto, come detto, l’unico nel raggio di centinaia di chilometri in grado di poter offrire assistenza.
La missione di Emergenza Sorrisi è cominciata proprio qui ad Adwa, accanto al lavoro instancabile delle suore salesiane, dove l’erogazione di energia elettrica, merce rara nel Paese, e da sempre complessa per le avverse condizioni climatiche, permette oggi di tenere accese le incubatrici per i neonati bisognosi di terapia intensiva neonatale.
Emergenza Sorrisi, con il suo staff di medici e infermieri volontari, è riuscita a operare, in pochi giorni, ben 52 pazienti piccoli pazienti. In gran parte si è trattato di interventi al labbro e al palato.
Emergenza Sorrisi, con i suoi uomini e le sue donne dal grande cuore, ha portato a termine l’ennesimo piccolo miracolo, dove competenze mediche e solidarietà, unite come non mai, hanno contributo a riaccendere la luce e ridonare, non è un gioco di parole ma una realtà, il sorriso sopito ad oltre 50 bambini.
E dalle parole di Suor Laura Girotto e da quelle del chirurgo, presente nello staff di Emergenza Sorrisi, Tania Fazio, emergono tutti i toccanti dettagli di una terra devastata da un passato e un presente quanto mai doloroso, che ha voglia, però, di rinascere, di rialzarsi, di riprendere a sorridere, come hanno fatto i piccoli operati, in un mese di giugno che nessuno, di coloro che hanno preso parte alla missione, dimenticherà facilmente.
Al racconto commovente e a tratti struggente e amaro di Suor Girotto, e a quello intenso come non mai della Dott.ssa Fazio, abbiamo affidato, quindi, il prezioso compito di descrivere la complessa realtà etiope e i significativi risvolti della missione di Emergenza Sorrisi, da poco conclusa.
SUOR LAURA GIROTTO, QUELLE NOTTI IN TENDA E I BAMBINI CHE ATTENDEVANO SILENZIOSI IL SUO RISVEGLIO
«Vi racconto con un filo di emozione, come se davvero tutto fosse iniziato ieri, la storia della missione di Adwa, nata e cominciata con il mio arrivo qui, in un paese straordinario come l’Etiopia, nel dimenticato Tigray.
Questa è la mia seconda casa, una nazione con una cultura antica, affascinante, meravigliosa.
Io dico sempre che la mia gente, perché mi sento ogni giorno di più una di loro, sono dei principi vestiti di stracci: sono poveri ma sono straordinariamente nobili dentro.
L’Etiopia, quella vera, purtroppo, quella del passato e della storia da scoprire, è stata danneggiata e fatta a pezzi, giorno dopo giorno, nel corso degli anni, distrutta da dilanianti dissidi politici, divenuti poi conflitti atroci, dove, per anni, la crudeltà l’ha fatta da padrone e dove qualcuno ha dimenticato finanche la parola umanità.
Io sono sono suora salesiana, missionaria da ben 55 anni in Etiopia, da 30 sono ad Adwa nel Tigray, nel nord dell’Etiopia, una delle regioni da sempre più povere e più sottosviluppate del Pianeta.
Quando io sono arrivata qui, nel lontano 1993, ero come una pioniera, da sola, in avanscoperta, perché non c’erano più missionari addirittura dal 1620.
Cosa ho trovato? Una povertà inimmaginabile solo a pensarla, in un Paese finanziato dai soldi del dolore e del sangue di una guerra senza esclusione di colpi.
Ho cominciato dalla gente, dall’aspetto umano che qualcuno aveva schiacciato, perché non c’era davvero niente, non avevamo acqua, non avevamo luce, non c’erano mezzi di trasporto.
Basti pensare che io sono arrivata su un aereo di sei persone atterrato in mezzo ad un campo, tra cammelli e asini. Non c’era neppure una pista di atterraggio e per mesi ho vissuto in una tenda militare, un residuo della guerra, e che all’inizio è stata la mia casa, ma per me non era quella la cosa importante.
La cosa a cui ho pensato, dal primo giorno, sono stati i contatti e le relazioni con la gente, soprattutto con i bambini, con le anime innocenti di una nazione che aveva bisogno di rinascere e che ancora oggi si sorregge sulla luce della speranza dei loro occhi.
Sono stati loro che mi hanno cercata, me li trovavo ogni giorno fuori dalla mia tenda, di un rispetto e di una educazione straordinari, quando in silenzio aspettavano il mio risveglio.
Ricordo la prima volta che me li sono trovati davanti, non sapevo la loro lingua e naturalmente abbiamo comunicato con gli unici strumenti possibili. Parlavamo con gli occhi e naturalmente con il sorriso.
Uno di loro, il mio primo giorno, mi ha preso per mano e siamo diventati subito amici. Da lì sono iniziate quelle grandi risate che hanno cambiato la nostra vita, la loro e la mia. Sono loro che l’hanno resa incredibile. E nonostante le difficoltà, non abbiamo mai smesso di ridere insieme.
Un giorno presi un piccolo asciugamano che avevo con me e ne feci una palla.
Ricordo che l’ho dato ai bambini perché cominciassero a giocare. Ho chiamato le bambine che avevano i fratellini sulle spalle e le ho coinvolte nel gioco: bambine già piccole donne, “piccole madri” di 5, 6, 10 anni, a cui spettava il duro compito di accudire i loro fratellini.
Ho raccolto delle foglie di agave, che loro usano abitualmente per farne delle corde. Mi hanno insegnato come farlo e da qui tutto è cominciato.
Ed è con loro, con i piccoli di questa terra meravigliosa e infelice, che è cominciata questa grande avventura che continua ancora oggi. Attraverso il gioco sono arrivati gli insegnamenti, l’istruzione, l’educazione. E la nostra prima scuola, come posso dimenticarlo, era in un container.
La solidarietà, ieri come oggi, è tutto per noi della missione che coordino e ho fondato con le mie sorelle. E il cuore delle persone, la loro umanità, hanno permesso a questo paese di crescere e così sempre sarà. Senza le risorse dei benefattori, li chiamo così, senza le missioni umanitarie, senza il sostegno delle associazioni come Emergenza Sorrisi, non avremmo potuto ottenere nulla.
Prima di tutto va curata la salute di questa gente, laddove le malattie, accanto alla povertà, sono il problema di maggiore entità. Senza una buona sanità non c’è futuro per questi bambini, visto che dal primo giorno della loro vita rischiano di non diventare mai adulti.
Passi in avanti ne sono stati fatti, certo, l’esempio lampante è il nuovo ospedale di Adwa, nato con il supporto del Governo italiano, ma ancora molti possono devono esserne fatti.
Io da oltre 30 anni accudisco i bambini dalla loro nascita, accanto alle madri, e mi prendo cura di loro: mi prendo cura prima di tutto della loro salute, e poi della tutela della loro istruzione: sono questi i compiti che porto avanti. Non da sola ovviamente, non potrei mai!
Arrivano nelle mie braccia a tre mesi e tanti di loro li ho visti diventare adulti.
Il percorso di istruzione, accanto all’evoluzione delle cure ospedaliere, è tutto: nido, scuola materna, elementare, media, superiore, scuole professionali, scuola tecnica.
Abbiamo laboratori di corsi professionali aperti per le donne che erano analfabete. Oggi molte di loro hanno imparato un mestiere, e poco per volta si è creato, intorno alla missione, un vero e proprio indotto economico che ha fatto nascere una città.
La vera città di Adwa è costruita, infatti, intorno alla nostra missione iniziata nel ’93. Oggi ci prendiamo cura di 1715 bambini a scuola, e abbiamo circa 300 dipendenti.
E poi è arrivata la grande sfida, da vincere. Quella dell’ospedale di Adwa, quello di Kidane Mehret, che grazie alle missioni umanitarie è il più attrezzato del Paese. E’ qui che i medici italiani, come quelli di Emergenza Sorrisi, i volontari, gli uomini dal grande sorriso e dal camice bianco, si prendono cura dei bambini e delle patologie più gravi e contribuiscono, con la loro esperienza, a formare il personale locale.
L’orrore della guerra? L’ho vissuto con i miei occhi. Il risultato è stato quello di un milione 200mila morti, escluse le persone scomparse di cui non si è saputo più nulla.
Un conflitto assurdo quello a cui ho assistito, che è stato come un ciclone che ha devastato tutto sotto il suo passaggio: tutte le scuole, tutte le fabbriche, tutti gli ospedali, 39 su 40. Benché ancora incompleto, il nostro non è stato toccato ed è stato l’unico che, seppur ancora in fase embrionale, ha permesso di soccorrere la popolazione in questi anni dove la guerra ha cancellato ogni speranza.
Noi continuiamo a lavorare ogni giorno, in un dopoguerra che in certi momenti è peggiore addirittura della guerra stessa, perché durante il conflitto c’erano gli organismi non governativi che ci davano una mano.
Per noi la sfida quotidiana, che non finisce mai, è quella di affrontare l’emergenza. Puntiamo ad aiutare la popolazione e a fare il passo successivo, ovvero quello di tornare alla normalità.
Ed è una sfida veramente enorme perché, sia chiaro, nonostante ripeto i passi in avanti, il Paese è ancora a pezzi, è in ginocchio. Il sistema bancario è stato bloccato, i conti correnti sono stati svuotati, la valuta straniera non esiste perché non ci sono investitori. Finanziariamente il Paese è in pieno default.
Si cerca di lavorare, giorno dopo giorno, con le persone di buona volontà.
Ed ecco allora che sono qui a raccontarvi l’ultima grande avventura che ha caratterizzato la mia vita e quella della missione salesiana di Adwa, ovvero quella accanto alla straordinaria equipe medica di Emergenza Sorrisi.
Per me è stata la prima volta accanto a professionisti specializzati nella cura di tante patologie infantili.
In neanche dieci giorni Emergenza Sorrisi ha operato 52 bambini per problemi vari, soprattutto maxillo facciali, come labbro leporino, palatoschisi, grandi ustioni.
Qui sia chiaro ci sono bambini nati con rare patologie fisiche, anche perché le mamme hanno patito la fame durante la gravidanza.
Certe volte penso che in fondo sarebbe bastato un po’ di acido folico perché le creature potessero nascere normali e affrontare una vita senza patemi.
Per fortuna, e lo dico con il cuore in mano, sono arrivate le mani miracolose di questi amici medici di Emergenza Sorrisi, che hanno davvero restituito il sorriso e la speranza a bambini che senza di loro avrebbero vissuto un futuro da incubo.
Voglio dire, allora, con le lacrime agli occhi, grazie a tutte le missioni umanitarie come Emergenza Sorrisi. Voi ci riempite le mani, voi muovete i cuori, voi andate controcorrente, voi sembrate voci nel deserto, sono quelli come voi che sorreggono il mondo», conclude commossa Suor Laura Girotto.
LA DOTT.SSA TANIA FAZIO, CHIRURGO PER EMERGENZA SORRISI NON HA DUBBI: «NON DIMENTICHERO’ MAI QUESTI GIORNI IN ETIOPIA».
«Non bastano le parole per descrivere le sensazioni che si vivono, prendendo parte, come medico, e nel mio caso innanzitutto come donna, a missioni umanitarie come quelle di Emergenza Sorrisi.
Quando si arriva in posti come l’Etiopia, tra povertà e malattie all’ordine del giorno, e non è affatto un gioco di parole, ti accorgi che la gente, in particolar modo i bambini, hanno davvero perso il sorriso. Le persone vivono come in un buio tunnel, dove gli spiragli di luce da raggiungere sono davvero lontani.
La prima cosa che ti colpisce dell’Etiopia, anche se la guerra è finita, sono le piaghe da sempre irrisolte, come la fame, la disperazione, la povertà, naturalmente aggravate negli anni da un dilaniante conflitto che, ripeto seppur concluso, ha lasciato e continuerà a lasciare il segno per decenni.
Tutto questo lo puoi vedere con i tuoi occhi, dal primo istante in cui metti piede qui: e allora ne senti quasi il sapore amaro, avverti un vuoto immenso dentro, e percepisci che devi fare qualcosa, nel tuo piccolo, per provare a ridonare speranze a questa gente.
Ed è straordinario, come, questi bambini, dopo gli interventi, iniziano per la prima volta a ridere, a scherzare, a giocare. Forse non lo hanno mai davvero fatto nella loro vita. E noi medici diventiamo i loro compagni di gioco, e non solo i professionisti sanitari che li hanno curati poco prima.
Non parlano la nostra lingua, ma si affidano a noi, mettono la loro vita nelle nostre mani, comprendono da subito cosa cerchiamo di fare e i nostri intenti benevoli.
Non dimenticherò mai questa esperienza, non potrò rimuovere il ricordo di aver fatto parte, e lo dico con orgoglio, di questa missione umanitaria in Etiopia con lo staff di Emergenza Sorrisi.
Nel mio caso, nello specifico, mi sono occupata di curare, con l’ausilio della chirurgia, le gravissime ustioni sul loro corpo.
Tanti di questi bambini presentano delle gravi alterazioni delle funzionalità dovute ad ustioni mai curate. E allora il nostro compito, da medici, è permettere loro di ritornare a giocare, a mangiare, a vivere nella loro semplice e straordinaria quotidianità.
Abbandonare tutto come ho fatto io per venire qui e prendermi cura di loro? Sono dei sacrifici che come volontari ci cambiano la vita, che non ti pesano. Non sentiamo la fatica di operare anche per 12 ore di fila, un bambino dopo l’altro. Il nostro scopo è questo: portare a compimento quanti più interventi possibili.
Mi piacerebbe concludere il mio racconto, parlandovi di una bambina che presentava ferite devastanti.
Dopo che l’ho operata, il giorno successivo, quando sono andata a controllarla per accertarmi delle sue condizioni e dello stato delle lesioni, l’ho vista sorridere per la prima volta e mi sono, credetemi, davvero commossa.
L’intervento che ho eseguito su di lei le ha dato l’opportunità di riprendere a muovere il braccio, di tornare a giocare, di vivere di nuovo la sua vita serenamente. Non lo dimenticherò mai. E’ stato un po’ come rinascere anche per me».
Il Presidente e fondatore, Fabio Massimo Abenavoli, Chirurgo Plastico e Maxillo Facciale, ha potuto monitorare a distanza le attività portate avanti anche in questa missione, grazie alla digitalizzazione delle immagini e alle cartelle elettroniche online che Emergenza Sorrisi utilizza già da alcuni anni.
Il Dott. Abenavoli dichiara la propria piena soddisfazione «per il lavoro di questo Team di volontari, che in pochi giorni – con il prezioso impegno di suor Laura Girotto, è riuscito a fare tanti piccoli grandi miracoli.
Ogni bambino operato è il più importante per noi. Ogni piccolo paziente a cui possiamo restituire la dignità di una vita nuova, risanata, senza stigma è una stella che brilla nel firmamento dei nostri obiettivi raggiunti. Ogni bambino che torna alla normalità porta la gioia a tutti i suoi familiari e questo riusciamo a toccarlo con mano in ogni giorno di missione, dal giorno dell’arrivo a quello della partenza, in cui sappiamo sempre – perché questo è fondante e fondativo della nostra mission – che i pazienti operati non resteranno soli, ma seguiti nelle settimane successive da personale sanitario, di cui sappiamo di poterci fidare e che cresce professionalmente negli anni, al nostro fianco».
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