Longobardi (UIL Fpl): “l’Assistente Infermiere creerà solo confusione di ruoli e di responsabilità”.
Continuano le interviste del direttore Angelo Riky Del Vecchio ai protagonisti del mondo dell’Infermieristica, del sindacato, delle società scientifiche e della politica sanitaria italiana. Questa volta abbiamo posto 10 domande al segretario generale del sindacato UIL FPL, Dott.ssa Rita Longobardi.
Nelle ultime settimane si è ingigantito sui social e sui giornali sanitari il dibattito sull’istituendo Assistente Infermiere. Sarà una sorta di figura ibrida tra l’infermiere e l’Operatore Socio Sanitario, ma senza a responsabilità dirette. La sua formazione e la sua vigilanza resterà ad appannaggio del Professionista Infermiere e secondo alcune indiscrezioni del Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Il suo Ente come valuta questa possibile new entry nel SSN?
La nuova figura dell’assistente infermiere creerà solo confusione e sarà difficile la sua integrazione con le competenze dell’infermiere. Sebbene dovranno lavorare insieme per garantire la salute e il benessere dei pazienti, le loro responsabilità, competenze e percorsi formativi saranno significativamente diversi. Sarebbe stato più opportuno potenziare dal punto di vista formativo la figura dell’Oss e al contempo garantire il giusto inquadramento normativo ed economico. Allo stesso tempo, sarebbe stato più appropriato, rendere più attrattiva la professione infermieristica adeguando gli stipendi alla media europea e potenziare le competenze favorendo l’evoluzione della formazione universitaria, attraverso un percorso definito di specializzazioni.
Anche il nome ci lascia perplessi. È chiaro a tutti che questa ibrida figura nasce solo per far risparmiare le aziende (soprattutto quelle private) e sopperire alla carenza di figure infermieristiche.
La Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI) è favorevole alla creazione dell’Assistente Infermiere. Mediante la creazione di Lauree Magistrali ad indirizzo clinico per l’infermiere quest’ultimo avrebbe più possibilità di diventare veramente un professionista intellettuale, delegando la parte puramente tecnica del suo lavoro definitivamente all’AI. Lei cosa ne pensa?
La proposta di istituire una figura di Assistente Infermiere e di creare Lauree Magistrali ad indirizzo clinico per gli infermieri ha il “potenziale” e l’illusione di migliorare la professione e la qualità delle cure. Tuttavia, è essenziale affrontare le sfide con la realtà dei fatti. Il problema che ci poniamo è che l’assistente infermiere non diventerà una figura di supporto, ossia in aggiunta alla dotazione organica già presente. Tale figura sarà utilizzata per sostituire il numero del personale infermieristico per ridurre i costi stipendiali, soprattutto in sanità privata e terzo settore. Questo abbasserà la qualità assistenziale del servizio pubblico e aumenterà il rischio clinico. Non ci dimentichiamo che l’infermiere laureato ha seguito un percorso universitario di almeno 3 anni. Questa formazione comprende sia aspetti teorici che pratici, permettendo a questa figura di affrontare in autonomia casi clinici complessi. La continua formazione e specializzazione rappresentano elementi essenziali nel percorso professionale degli infermieri laureati, rendendoli preparati a gestire situazioni critiche e a intervenire in maniera efficace quando necessario.
Se il futuro dell’Infermieristica italiana passa dalle Lauree Magistrali ad indirizzo clinico, perché questa riforma è temuta e addirittura combattuta da tante società scientifiche e associazioni Infermieristiche? C’entrano forse gli inutili Master di Primo livello mai riconosciuti ufficialmente a livello contrattuale e remunerativo, ma tanto osannati proprio da queste organizzazioni?
Anche se la riforma delle Lauree Magistrali ad indirizzo clinico potrebbe rappresentare un passo avanti significativo per la professionalizzazione e la specializzazione degli infermieri in Italia, ci sono diverse preoccupazioni legittime che devono essere considerate e affrontate per garantire che il cambiamento avvenga in modo equilibrato e sostenibile. Ad esempio: alcuni infermieri potrebbero temere che l’evoluzione verso un ruolo clinico avanzato possa ridurre la loro autonomia professionale, subordinandoli ulteriormente ai medici o ad altre figure professionali. Oppure la creazione di nuove figure con formazione avanzata che potrebbe aumentare le responsabilità, ma non avere a disposizione le risorse per accrescere le retribuzioni. Temere che non vi sia una chiara definizione delle competenze e dei ruoli delle nuove figure. Per quanto riguarda i Master, nell’ultimo rinnovo del CCNL Comparto Sanità Pubblica è presente, dal punto di vista normativo, la possibilità di attribuire gli incarichi di “professionista specialista” o di “professionista esperto”, ma il problema è sempre lo stesso: senza risorse, senza congrui stanziamenti e senza programmazione rimane tutto solamente sulla carta.
Da parte nostra, dunque, nessuna resistenza, anzi siamo favorevoli ad un percorso accademico ancora più qualificato. Probabilmente le resistenze arrivano dalle università e dalle tante associazioni medico-scientifiche che vogliono riportare la professione infermieristica ad un ruolo meramente ausiliario.
I sindacati sono divisi tra loro nel valutare l’avvento dell’Assistente Infermiere. Questo è dovuto ad una vera conoscenza della nuova figura professionale che verrà o alla paura di non poterla ancora inquadrare dal punto di vista contrattuale?
Più che divisione, abbiamo posizioni e visioni diverse. Sicuramente, le incertezze e le preoccupazioni sono legate al loro inquadramento contrattuale e ai conseguenti impatti sulle condizioni di lavoro e sulla qualità del servizio sanitario. Ma il punto su cui dobbiamo riflettere è che abbiamo già delle figure esistenti e normate, ad esempio OSS e OSS con formazione complementare, che già svolgono un ruolo cruciale nell’assistenza sanitaria, offrendo supporto tanto ai pazienti quanto agli infermieri e agli altri professionisti sanitari. Valorizzare queste figure potrebbe significare una soluzione più immediata ed efficiente, senza necessariamente creare una figura completamente nuova, a condizione di fornire adeguato supporto formativo e riconoscimento professionale.
Il Governo Meloni e i Ministri della Salute e dell’Economia hanno fatto orecchie da mercante relativamente alla richiesta di aumenti salariali da parte dei sindacati. La poca considerazione della politica nei confronti della Professione Infermieristica sta aggravando ancora di più la sua già scarsa attrattività nel mondo giovanile. Il suo Ente ha una ricetta magica per invogliare il Governo Meloni ad intervenire cambiando finalmente rotta?
Non ci vogliono ricette magiche, servono interventi politici strutturali che mancano da molti anni. L’attrattività della professione infermieristica potrebbe essere migliorata significativamente attraverso politiche salariali più adeguate ai crescenti carichi di lavoro e responsabilità, alla possibilità di carriera e di evoluzione della professione e attraverso programmi di incentivi e miglioramento delle condizioni lavorative.
La carenza di personale sanitario (secondo le ultime stime mancano all’appello 70.000 infermieri e 80.000 OSS) provoca turnazioni massacranti per garantire l’erogazione dei servizi pubblici essenziali e al contempo episodi frequenti di burn out e dimissioni volontarie.
Servono politiche mirate al riconoscimento economico, professionale e sociale, insieme a una forte campagna di sensibilizzazione che può contribuire significativamente a migliorare l’attrattività della professione infermieristica tra i giovani.
Torniamo all’Università. Ad inizio settembre 2024 si è raggiunto il cosiddetto punto di non ritorno, ovvero alle 20.000 disponibilità di posti nei Corsi di Laurea in Infermieristica hanno risposto solo in 20.000, con un rapporto 1:1. Inoltre, di questi 20.000 pretendenti si sono iscritti finora ai CDL per Infermieri solo in 18.000. Secondo lei è ancora utile continuare con i test di preselezione o sarebbe meglio dare la possibilità a tutti di iscriversi liberamente? A chi giova il voler continuare ad utilizzare vecchi e vetusti sistemi di selezione?
Un’idea potrebbe essere un approccio ibrido che bilancia entrambe le prospettive. Ad esempio, con la creazione di programmi di accesso che forniscano programmi di supporto per studenti provenienti da contesti svantaggiati per prepararli al meglio ai test di preselezione. Oppure diversificare i modi di valutazione, includendo esperienze di volontariato o altre forme di misura del potenziale accademico. Consentire l’accesso libero con dei corsi iniziali (come i “primi anni propedeutici”) che chi non ha passato il test può comunque frequentare, con valutazioni continue per assicurarsi che raggiungano il livello necessario per procedere con gli studi. Questa soluzione potrebbe combinare il meglio di entrambi i mondi, garantendo al contempo inclusività e il mantenimento di standard accademici.
Alcune Regioni del Nord hanno scelto di finanziare gli studi dei neo-studenti in Infermieristica. Si torna indietro di anni, a quando non si sceglieva la professione perché piaceva, ma solo perché si guadagnava da subito un piccolo stipendio. Cosa ne pensa di questa involuzione? Porterà realmente ai risultati preventivati ovvero all’aumento del numero di iscrizione al CdL?
Visto il caro vita e la difficoltà a trovare soluzioni abitative, questo approccio potrebbe attirare più studenti. Ma gli incentivi finanziari, se non accompagnati da politiche e programmi che promuovano la passione, l’eccellenza ed il giusto riconoscimento economico e professionale non daranno i frutti sperati.
Gli Studenti Infermieri sono maggiori al sud, che al nord. E le loro scelte sono ricadute anche quest’anno sugli Atenei del Meridione, complice anche la crisi economica. Molti Corsi di Laurea in Infermieristica rischiano la chiusura, soprattutto nelle scuole universitarie più blasonate del settentrione. Perché si continua a sottovalutare questo fenomeno?
Il tasso di disoccupazione è certamente maggiore al Sud e devono essere considerate le ragioni economiche e socio-culturali che portano ad un numero maggiore di studenti al Sud, così come un elemento fondamentale è la differenza di caro-vita tra Nord e Sud Italia.
Andrebbero stabilite politiche e criteri che incoraggino la distribuzione uniforme degli studenti tra tutte le regioni per aiutare a mantenere aperti i corsi di laurea nelle università del Nord.
Sicuramente un dato è certo: questo è un Paese che negli ultimi 20 anni non ha investito, non ha programmato in sanità e oggi le lavoratrici, i lavoratori e l’utenza ne pagano un prezzo altissimo.
Ha un sogno nel cassetto per l’Infermieristica italiana?
Sicuramente un maggiore riconoscimento professionale del loro ruolo, cruciale nel sistema sanitario italiano. Garantire condizioni di lavoro ottimali, inclusi salari equi, orari ragionevoli e supporto psicologico, affinché gli infermieri possano svolgere il loro lavoro senza compromettere la loro salute e il loro benessere. Sfruttare la tecnologia emergente con sistemi informatici avanzati per la gestione delle informazioni dei pazienti, dispositivi medici innovativi e strumenti per facilitare l’assistenza a domicilio. Promuovere e finanziare la ricerca in campo infermieristico, per sviluppare pratiche basate su evidenze scientifiche per migliorare continuamente la qualità dell’assistenza. Investire sull’ educazione alla Salute per educare i cittadini sui temi della prevenzione.
Un sistema solido e accessibile per la formazione continua, che permetta agli infermieri di aggiornarsi costantemente e di specializzarsi in vari ambiti. Una programmazione strutturale del servizio sanitario che permetta di garantire efficienza, equità e qualità dei servizi erogati.
Grazie segretario e buon lavoro!
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