L’odore delle urine e l’ultimo turno di una OSS.
L’amore proibito.
Il corridoio della RSA Villa Serena era immerso nel silenzio delle piccole ore. Solo il ronzio intermittente del frigorifero dei farmaci rompeva la quiete. Laura Ferri, 34 anni, OSS da dieci, controllò l’orologio: 2:47. Ancora tredici minuti al prossimo giro.
Con movimenti rapidi, svuotò il carrello dei rifiuti speciali. Le mani le tremavano leggermente mentre estraeva il sacco nero. Il cuore le batteva forte quando, dopo un’occhiata furtiva alla porta, lo aprì.
L’odore la colpì come un pugno nello stomaco. Acuto. Terribilmente umano. Per Laura, era come il profumo più dolce.
“Signora Ferri? Tutto bene?”
La voce la fece sobbalzare. Marco Leone, l’infermiere di turno, era sulla soglia, la fronte corrugata. I suoi occhi scuri passarono dal viso di Laura al pannolone che stringeva ancora tra le dita.
Un silenzio carico di orrore.
Il ricatto.
L’ufficio del direttore era gelido. Laura fissava le proprie mani incrociate sul grembiule macchiato di disinfettante.
“Ho bisogno che firmi questo.” Marco le porse un foglio. “Confermi che ieri sera alle 21:30 eri con me a somministrare l’eparina alla Rossetti.”
Laura alzò gli occhi. “Ma non è vero. E poi, Gina è morta per…”
“Per una dose eccessiva, lo so.” Marco sorrise. “E tu sai cosa ho sul mio telefono.”
Le porse il cellulare. Nel video, lei annusava con estasi quel pannolone. La ripresa era perfetta, inequivocabile.
La discesa.
Nei giorni seguenti, Laura diventò l’ombra di Marco. Falsificava registri, copriva le sue negligenze. Intanto, i pettegolezzi cominciavano a circolare.
“L’hai vista ieri notte?” sussurrava Sonia all’angolo della sala ricreazione. “Passeggiava vicino al deposito rifiuti. Che schifo.”
La signora Elvira, 92 anni, afferrò la mano di Laura durante il cambio. “Lui uccide” sussurrò con voce chiara, insospettabile per la sua demenza. “Ho visto. Nelle siringhe.”
La caduta.
Il video diventò virale alle 15:47 di un martedì qualunque. “OSS MALATA IN RSA” titolava il giornale locale.
La direttrice, la dott.ssa Mantovani, non la guardò neppure quando le consegnò la lettera di licenziamento. “C’è la polizia fuori. Se ne vada dal retro.”
Fuori, la pioggia batteva forte. Laura camminò sotto l’acquazzone, il grembiule ancora addosso, mentre gli sguardi dei passanti la trafiggevano.
Il conto.
L’appartamento di Laura era buio. Sul tavolo, tre cose: il suo diario, il telefono con l’ultimo messaggio anonimo (“So la verità. Aiutami a farla emergere”), e la scatola di Lexotan.
Scrisse con mano ferma: “Marco Leone ha ucciso Gina Rossetti ed Elvira Conti. I farmaci scaduti sono nel secondo cassetto dell’infermeria. La password del suo cloud è Inferno87.”
Poi compose il numero dell’unico giornalista che aveva provato a sentire la sua versione.
Tre mesi dopo.
Il processo a Marco fece scalpore. La RSA venne chiusa. Un servizio del TG3 parlò di “sistema malato”.
Nessuno menzionò mai la vera storia di Laura Ferri, della sua ossessione, del suo sacrificio.
Ma a volte, di notte, le infermiere di Villa Serena giurano di sentire un fruscio nel deposito dei rifiuti. E un odore che persiste, nonostante i disinfettanti.
Come se qualcuno, o qualcosa, non avesse ancora finito di pulire.
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