La dura realtà della Lungodegenza: lo sfogo di una Infermiera sul fine vita.
Un’infermiera di un reparto di lungodegenza si sfoga sulla sua esperienza quotidiana, descrivendo la sofferenza dei pazienti e il peso emotivo di dover ricomporre cadaveri. La sua riflessione solleva un’importante domanda: è giusto accanirsi per prolungare la vita in condizioni di sofferenza, o si dovrebbe favorire una morte serena a casa?
“Anche stanotte un paziente è morto. Ormai non facciamo che raccogliere cadaveri,” racconta l’infermiera visibilmente provata. “Ogni giorno mi chiedo: che lavoro è questo? Perché queste persone non possono vivere i loro ultimi giorni serenamente, circondate dai loro cari, invece che in un letto d’ospedale?”
I reparti di lungodegenza sono destinati a pazienti che necessitano di cure continuative, spesso in seguito a malattie croniche o gravi incidenti. Tuttavia, per molti operatori sanitari, questi luoghi diventano il teatro di sofferenze prolungate, dove il confine tra cura e accanimento terapeutico si fa sottile.
La questione del fine vita è da anni al centro del dibattito pubblico. La Legge 219/2017 sancisce il diritto del paziente a rifiutare cure che ritiene sproporzionate o non più utili. Tuttavia, in molti casi, i familiari o gli stessi operatori sanitari si trovano a dover prendere decisioni difficili, spesso influenzate da emozioni, paure e senso del dovere.
Gli infermieri, in prima linea nella cura dei pazienti, si trovano spesso a dover gestire non solo le necessità fisiche dei malati, ma anche il loro dolore emotivo e quello delle famiglie. “Non è solo un lavoro, è un carico emotivo continuo,” spiega l’infermiera. “Ci affezioniamo ai pazienti, soffriamo con loro, e troppo spesso ci sentiamo impotenti di fronte alla morte.”
Le cure palliative e l’assistenza domiciliare rappresentano una valida alternativa per molti pazienti terminali. Consentono di vivere gli ultimi giorni in un ambiente familiare, circondati dai propri cari, garantendo al contempo un adeguato controllo del dolore e del disagio. Tuttavia, queste opzioni sono spesso sottoutilizzate, a causa di una mancanza di informazione o di risorse.
Lo sfogo dell’infermiera mette in luce una realtà che spesso rimane invisibile: il peso emotivo del lavoro sanitario e il dibattito sul fine vita. È fondamentale avviare una discussione più ampia su come garantire a ogni persona una morte dignitosa, rispettosa delle sue volontà e priva di sofferenze inutili. Allo stesso tempo, è necessario fornire maggiore supporto agli operatori sanitari, affinché possano svolgere il loro lavoro con serenità e rispetto per sé stessi e per i pazienti.
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