Infermieri, OSS e quelle strane ombre dietro le sbarre: le anime perdute del Carcere di Oristano.
Di notte, infermieri e OSS giurano di vedere i fantasmi di chi non è mai uscito vivo da quelle celle. E forse, non sono solo leggende.
L’Ospedale che non dorme mai.
Le luci al neon dell’infermeria del carcere di Oristano sfarfallano, come se un respiro troppo profondo potesse spegnerle. È l’una di notte, e l’aria è immobile, carica di quel silenzio che precede un urlo. Marco, un infermiere con vent’anni di servizio, controlla le cartelle cliniche quando sente un rumore: tic, tic, tic.
Non è la pioggia. È più simile a unghie che grattano il metallo.
Si volta, e nella penombra del corridoio vede una sagoma. Alta, magra, con la testa chinata. Indossa una tuta arancione, ma i piedi sono nudi e sporchi di fango. “Non ci sono detenuti in quel reparto”, pensa Marco, mentre il cuore gli esplode nel petto. La figura alza lo sguardo. Gli occhi sono due buchi neri.
Poi sparisce.
I morti che non se ne vanno.
Quella non è stata la prima volta. Gli infermieri e gli OSS del penitenziario sussurrano di ombre che attraversano i muri, di sussurri nelle celle vuote, di respiri gelidi sulla nuca quando nessuno c’è. Tutte le apparizioni hanno qualcosa in comune: sono detenuti morti tra quelle mura.
Suicidi con lenzuoli annodati. Uccisi in liti mai chiarite. Malati finiti in solitudine.
“Li riconosciamo”, confessa un operatore, che chiede di rimanere anonimo. “C’è quello che si impiccò nel braccio C, c’è il ragazzo accoltellato nel cortile… camminano come se cercassero una via d’uscita. Ma qui dentro, nemmeno i morti vengono scarcerati.”
Una prigione per l’eternità?
C’è chi dice che siano anime dannate, condannate a ripetere per sempre il loro tormento. Chi crede che siano echi di un dolore troppo grande per dissolversi.
Una notte, una guardia giurò di aver visto una fila di ombre avanzare verso il muro di cinta, come se volessero scavalcarlo. Ma al primo chiarore dell’alba, svanirono. “Forse cercavano l’inferno”, mormorò. “Perché qualunque cosa sia qui dentro, per loro è già peggio.”
Epilogo.
Oristano dorme. Le sbarre gettano ombre lunghe sui corridoi deserti. E se tendi l’orecchio, in quelle pause tra un respiro e l’altro, potresti sentirlo: il lieve stridore di una corda che oscilla nel vuoto.
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