Il valore della prevenzione, è ancora a cuore alle istituzioni.
Nel 1948, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non semplicemente l’assenza di malattia o infermità”. Successivamente, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, attraverso la Legge 23 dicembre 1978, n. 833, è stato affermato il concetto di salute con tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza ed equità. Questo implica l’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione, al fine di ribadire in modo eloquente l’articolo 32 della Costituzione: La Repubblica tutela la salute quale fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, garantendo cure gratuite agli indigenti.
Prevenzione e programmi di screening
“Prevenire è meglio che curare”, afferma un noto proverbio, la prevenzione costituisce l’elemento cruciale dell’assistenza sanitaria. Essa comprende l’insieme delle azioni e attività finalizzate a ridurre mortalità e morbilità associate a specifici fattori di rischio. Tuttavia, è imprescindibile che tutti i soggetti coinvolti, dall’Ospedale al Territorio con le sue molteplici articolazioni, partecipino attivamente a questo processo. Paradossalmente, non sussiste ancora unità e coesione tra Ospedale e Territorio, così come tra le diverse regioni nell’attuazione di un’anagrafica nazionale vaccinale; ciò è evidente nonostante l’emergenza pandemica da COVID-19 e le numerose difficoltà esistenti, dal reclutamento delle persone alla registrazione dei dati. Sarebbe auspicabile che tutte le strutture sanitarie pubbliche e private, inclusi gli studi medici, possano offrire vaccinazioni in qualsiasi momento, ovunque e a chiunque ne avesse bisogno. Alcune regioni più virtuose hanno già implementato da anni un sistema vaccinale integrato a livello regionale.
Per quanto riguarda i programmi di screening, invece di investire sempre maggiori risorse in termini di personale, strutture e mezzi, si tende a trascurare tali aspetti; contrariamente ad altre nazioni che investono significativamente nella prevenzione, nel nostro paese la spesa per quest’ultima rimane costantemente al di sotto delle previsioni. Le varie campagne e i programmi di screening oncologici o di educazione sanitaria sono per lo più realizzati da associazioni di volontariato. Se si destinassero maggiori investimenti a questi ambiti, molte patologie potrebbero essere prevenute o almeno trattate in modo adeguato, evitando così costi superiori.
È fondamentale focalizzarsi sulla promozione della salute, intesa come benessere sia individuale che collettivo. Tale promozione deve basarsi su un’azione sinergica tra i diversi settori della società, affrontando i fattori di rischio comportamentali modificabili, contrastando le disuguaglianze e considerando gli elementi che influenzano la salute a livello sociale, economico e ambientale. Due aspetti giocano sul fattore tempo, la diagnosi precoce e il ruolo cruciale delle vaccinazioni.
Accesso alle cure ospedaliere e territoriali–
La situazione attuale si configura sempre più come un gioco d’azzardo. Con un’emigrazione in costante aumento, non solo verso le regioni del nord, ma anche nel settore privato; quest’ultimo appare quasi a gestire e limitare i numerosi accessi al pronto soccorso, dando opportunità a chi ha la possibilità economica di pagare. Analogamente, le farmacie offrono esami strumentali tramite telemedicina. Inoltre, i laboratori di analisi sono sempre più affollati e attraggono gli utenti con pacchetti di esami a costi ridotti. L’allungamento dei tempi per prestazioni semplici o visite di controllo spesso porta a rinunce alle cure, aggravando problematiche che possono culminare in ricoveri sempre più onerosi. Questo fenomeno colpisce in particolare i soggetti economicamente vulnerabili, per i quali la prospettiva di un pagamento per accedere a prestazioni sanitarie non è una soluzione praticabile.
Le strutture pubbliche, pur avendo notevoli potenzialità, fanno ben poco per incrementare il budget disponibile. È ancora difficile affrontare con sincerità i danni causati dall’aziendalizzazione della sanità italiana: la transizione da un servizio sanitario nazionale a uno regionale ha adottato una logica aziendale orientata al profitto anziché alla fornitura delle cure necessarie, venendo meno ai principi stabiliti dall’articolo 32 della Costituzione. Tale cambiamento, invece dei benefici attesi ha progressivamente compromesso la qualità del servizio sanitario soprattutto nelle regioni meridionali, generando confusione e minando i livelli essenziali di assistenza, impedendo ai cittadini meno abbienti l’accesso alle cure.
Attualmente, il servizio pubblico garantisce assistenza in caso di emergenza a tutti, mentre per quanto concerne visite specialistiche, diagnostica e piccola chirurgia, il settore pubblico sta progressivamente arretrando; conseguentemente, i cittadini si trovano costretti a posticipare interventi o ad orientarsi verso il privato. Questa situazione sta favorendo un sistema sanitario privato sempre più costoso. La forte volontà politica volta all’autonomia differenziata rischia di ampliare ulteriormente il divario tra Nord e Sud Italia in termini di diritto alla salute, incentivando l’emigrazione e aumentando le disuguaglianze in maniera crescente.
Da decenni si discute della continuità assistenziale (ospedale-territorio-domicilio e viceversa), ma nella maggior parte delle regioni i progressi in tale direzione rimangono prevalentemente teorici. Con l’aumento delle patologie croniche anche tra i giovani, il problema non può essere ulteriormente procrastinato; al contrario tende ad aggravare un sistema sanitario già in grave difficoltà rendendo estremamente complessa l’assicurazione dell’assistenza futura. Le problematiche tendono ad acuirsi sempre di più ovunque, soprattutto per quanto riguarda la carenza dei medici di base. Quando presenti, questi ultimi sono spesso sopraffatti dalla burocrazia anche per semplici prescrizioni, nonostante esistano piani terapeutici già definiti.
Per superare l’attuale crisi della sanità, è fondamentale abbandonare la logica aziendale del profitto e attuare qualche riforma che bilanci pubblico e privato. Altrimenti, il settore privato continuerà a fare profitti mentre il settore pubblico continuerà nel suo declino. Una madre solitamente cerca di proteggere i suoi figli, e solo con il cuore di madre si possono fare determinate scelte. Cerchiamo quindi di attuare riforme che possano garantire equamente le cure in tutto il territorio nazionale. Solo così sarà possibile ridurre gli squilibri territoriali esistenti e dare al Ministero della Salute un ruolo più centrale.
È necessario intervenire sulla “gratificazione” del personale sanitario: senza professionisti motivati e soddisfatti, non sarà possibile risolvere i problemi; anzi, si andrà incontro al deterioramento dell’intero sistema sanitario pubblico. Dati alla mano, sono sempre più evidenti le conseguenze negative di questa mancanza. È imperativo investire sul personale che rappresenta il fondamento dell’intera struttura sanitaria e non limitarsi a considerare esclusivamente macchinari ed ambienti; l’attuale personale continua ad esercitare la propria professione spinto da vocazione e spirito umanitario, ma fino a quando questo potrà essere possibile ?
Rete dell’emergenza Urgenza
Attualmente, tutti i pronto soccorso in Italia presentano criticità, diverse tra loro ma tutte riconducibili a due fattori principali: il sovraffollamento e la carenza di personale. Questi elementi generano attese che sfociano in disagio, il quale può condurre a comportamenti violenti, anche tra le persone normali.
Ci troviamo ormai in una situazione di emergenza totale, volendo dire con un proverbio: amaro a chi ci incappa. I recenti fatti di cronaca ne sono testimonianza nella quale si registrano decessi per strada a causa della mancanza di mezzi e personale adeguato, così come la provocatoria ordinanza emessa da un sindaco che invita i cittadini a non ammalarsi, per la chiusura delle guardie mediche e la limitata disponibilità delle ambulanze medicalizzate. Se non si corre ai ripari, presto potrebbero verificarsi ulteriori decessi anche all’interno degli ospedali per l’insufficienza non solo del personale medico ma anche infermieristico.
Tutte queste circostanze trovano nel sistema di emergenza il loro naturale sbocco, con un incremento esponenziale delle chiamate ai numeri dedicati e un affollamento crescente nei pronto soccorso. È impensabile trattenere per parecchi giorni persone anziane, oncologiche e traumatizzate a causa della mancanza di posti letto. A tal proposito, numerosi articoli e servizi giornalistici sui mass media hanno trattato l’emergenza negli ultimi tempi, senza sortire gli effetti sperati. Qualche anno fa sarebbe stato opportuno formare dei team di lavoro motivati in ogni regione e nelle diverse aziende ospedaliere e sanitarie anziché introdurre nuovi codici colore per il triage; ciò avrebbe dovuto avvenire seguendo il principio evangelico: “Ogni tralcio che non porta frutto deve essere trasferito a un altro incarico al di fuori della sanità.” È essenziale motivare le persone coinvolte; tuttavia, affinché ciò possa realizzarsi è necessario partire dall’alto verso il basso, coinvolgendo tutte le categorie professionali comprese gli OSS; altrimenti qualsiasi misura adottata risulterà inefficace.
La politica, invece di affrontare le problematiche alla radice, ha optato per una legislazione che inasprisce le pene per i reati di violenza contro gli operatori sanitari, senza ottenere alcun risultato positivo. È fondamentale che la politica si occupi della risoluzione dei problemi anziché aggravarli, eliminando la burocrazia e favorendo la costruzione di quanto legiferato in brevissimo tempo senza lasciar andare per le calende greche.
Infine bisogna evidenziare che la popolazione, anche quella meno fortunata, sta sopportando bene questa ulteriore sofferenza e disagio; tuttavia, se malauguratamente si sommano altri fattori, si rischia di compromettere la stessa democrazia.
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