Il peso della scelta. OSS o ladra?
Maria aveva sempre saputo che la vita non era facile. Rimasta vedova a soli 35 anni, con cinque figli da crescere e un lavoro da Operatore Socio Sanitario (OSS) in una RSA di periferia, aveva imparato a lottare ogni giorno per tenere insieme i pezzi della sua famiglia. Ma quell’inverno sembrava volerla spezzare.
L’aumento dell’affitto, le bollette alle stelle e i prezzi dei viveri che sembravano salire ogni settimana l’avevano messa in ginocchio. Nonostante i turni massacranti e le ore di strappo, il suo stipendio non bastava più. E così, una sera, mentre controllava il frigo semivuoto e sentiva i suoi figli ridere in salotto, ignari della situazione, aveva preso una decisione.
La notte del gesto disperato.
Era stato semplice, troppo semplice. Mentre tutti erano distratti, Maria aveva infilato qualche scatola di tonno, pacchi di pasta e barattoli di sugo nella sua borsa. Lo aveva fatto con le mani tremanti, il cuore in gola e la voce del marito defunto che le sussurrava: “Non è giusto, Maria”. Ma cosa poteva fare? I suoi figli avevano fame, e lei non poteva permettere che andassero a letto a stomaco vuoto.
Per settimane aveva portato avanti quel piccolo furto, giustificandolo come un atto di sopravvivenza. Ma una notte, mentre cercava di nascondere un pacco di biscotti, era stata sorpresa da una collega. Lo sguardo di disapprovazione di quella donna l’aveva trafitta più di mille parole.
Il licenziamento.
Il direttore della RSA non aveva esitato. “Furto è furto, Maria. Non possiamo tollerarlo”, le aveva detto con tono freddo, mentre le consegnava la lettera di licenziamento per giusta causa. Maria era uscita dall’ufficio con le lacrime agli occhi, sentendosi umiliata e sconfitta. Come avrebbe fatto ora a mantenere i suoi figli?
La solidarietà inaspettata.
Quello che Maria non si aspettava era la reazione dei suoi colleghi OSS, degli infermieri e persino dei parenti dei pazienti. Tutti conoscevano la sua storia, la sua dedizione al lavoro, il suo amore per i pazienti e la sua lotta quotidiana per tirare avanti.
Fu Lucia, un’infermiera con cui Maria aveva condiviso tanti turni, a prendere l’iniziativa. “Non possiamo lasciarla sola”, aveva detto durante una riunione informale. In pochi giorni, era partita una petizione per chiedere la sua riassunzione, accompagnata da una raccolta fondi per aiutarla a superare il momento difficile.
Anche i parenti dei pazienti si erano mobilitati. “Maria è una di famiglia”, aveva detto la signora Rosa, figlia di un anziano ricoverato. “Ha sempre trattato mio padre con gentilezza e rispetto. Non possiamo abbandonarla”.
Il ritorno.
Quando il direttore della RSA ricevette la petizione, firmata da decine di persone, e vide la solidarietà che Maria aveva saputo conquistarsi, non poté fare a meno di riconsiderare la sua decisione. Dopo un colloquio franco e onesto, Maria fu riassunta, con la promessa che non avrebbe più commesso errori simili.
Quel giorno, mentre tornava a casa con il cuore leggero, Maria sentì per la prima volta dopo tanto tempo un barlume di speranza. Non era sola. La sua comunità, i suoi colleghi e i parenti dei pazienti le avevano dimostrato che, anche nei momenti più bui, c’è sempre qualcuno pronto a tendere una mano.
L’epilogo.
Maria riprese il suo lavoro con rinnovata energia, più determinata che mai a fare del bene. I suoi figli, ignari di tutto, continuarono a ridere e giocare, mentre lei, ogni sera, prima di addormentarsi, ringraziava il marito defunto per averle insegnato che, anche nelle difficoltà, c’è sempre una via d’uscita.
E quella via, per Maria, era stata la solidarietà di chi le voleva bene.
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