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Il dibattito sul numero chiuso nelle Università: è veramente la soluzione giusta?

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Il sistema del numero chiuso nelle università italiane è da anni oggetto di critiche e polemiche. Recentemente, Antonio Polito ha espresso la sua opinione in un articolo sul Corriere del Mezzogiorno, criticando questo sistema di selezione, soprattutto nel campo della medicina. Polito ritiene che il numero chiuso sia una misura “sbagliata, ingiusta, inaccettabile” e che limiti il diritto allo studio, garantito dalla Costituzione italiana.

Numero chiuso: una violenza contro i giovani?

Polito non è solo. Da anni, organizzazioni come l’ANDU (Associazione Nazionale Docenti Universitari) sostengono che il numero chiuso sia una violenza contro i giovani che desiderano intraprendere una carriera universitaria. La logica dietro questa critica è semplice: invece di migliorare i servizi educativi, lo Stato limita il numero di studenti ammessi, trasformando il diritto allo studio in una lotteria.

Secondo i difensori del sistema, il numero chiuso è necessario per evitare una sovrabbondanza di laureati in campi già saturi, come quello medico, che potrebbe portare a una maggiore precarietà lavorativa. Ma Polito solleva un’importante domanda: “Le università devono davvero orientare il mercato del lavoro?”

Il modello Francese: un’alternativa accettabile?

Sorprendentemente, dopo aver criticato duramente il concetto di numero chiuso, Polito sembra apprezzare la proposta della ministra Bernini, che prevede un sistema simile a quello francese: un test di selezione dopo i primi sei mesi di studi universitari. Ma è davvero una soluzione migliore?

Il modello francese ha dimostrato di avere gravi problemi. In Francia, è stato descritto come un “massacro generazionale”, con studenti che investono tempo, energie e risorse economiche solo per essere espulsi dopo il primo anno. Ogni anno, decine di migliaia di studenti francesi sono costretti a lasciare gli studi, un sistema che molti definiscono disumano.

Un sistema che esclude: i costi sociali del numero chiuso.

L’adozione di un modello simil-francese in Italia rischierebbe di portare a risultati simili, con oltre 45.000 studenti italiani decimati ogni anno. Non solo, ma i costi associati alla preparazione per questi test di selezione, inclusi i corsi di sostegno e le spese accessorie, diventerebbero un ulteriore fardello per le famiglie italiane.

L’ANDU e altre organizzazioni accademiche sostengono che sia necessario abbandonare il numero chiuso e investire, invece, in sistemi di orientamento e tutorato più efficaci. Questi strumenti aiuterebbero gli studenti a fare scelte più informate sui loro percorsi di studio, evitando così di trasformare l’università in una selezione continua.

È tempo di rivedere il sistema.

Il dibattito sul numero chiuso continua a essere uno dei temi più caldi nel panorama universitario italiano. Se da un lato ci sono ragioni economiche e di mercato a favore di questo sistema, dall’altro vi è il diritto fondamentale allo studio, che non può essere sacrificato sull’altare dell’efficienza.

La sfida ora è trovare un equilibrio tra accessibilità e qualità, senza ricorrere a soluzioni che penalizzano migliaia di studenti e famiglie. Come possiamo garantire un sistema educativo che rispetti i diritti di tutti? Il futuro dell’università italiana dipende da questo.

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