Florence Nightingale: aldilà della lanterna. I retroscena dell’Infermieristica moderna.
Riverita e detestata, riformatrice e conservatrice allo stesso tempo, Florence Nightgale rimane ancora oggi la pioniera dell’infermieristica moderna, ancora oggi che il mondo si è fermato per una pandemia dovuta al Coronavirus. Florence Nightgale fu la prima, infatti, ad occuparsi del rischio infettivo in ambito sanitario, a rendersi conto che la maggior parte dei soldati assistiti non morivano per le ferite riportate in guerra, ma a causa delle infezioni per sovrafollamento delle strutture e per le scarse condizioni igieniche.
“Apprensione, incertezza, attesa, aspettative, paura della novità, fanno ad un paziente più male di ogni fatica.”
Questo scriveva Florence in “Notes of nursing” decenni e decenni fa. Eppure sembra proprio ciò che la nostra categoria ha attraversato in questi ultimi due mesi, sembra proprio che quelle parole siano cucite sul nostro cuore.
Nel 1854 l’impero Britannico entra in guerra contro la Russia che vuole conquistare Costantinopoli e manda una spedizione in Crimea. Le notizie che giungono da questa guerra sono subito allarmanti, soldati feriti e lasciati morire senza assistenza. Così, Florence decide di partire insieme a 38 infermiere formate personalmente da lei per Scutari, sede dell’ospedale militare britannico.
Quello che trova sono numeri esorbitanti di soldati in condizioni igieniche disumane, abbandonati a se stessi, che si contagiano l’un l’altro con malattie infettive.
Lavorando giorno e notte, Florence impone procedure igieniche che la portano effettivamente ad ottenere grossisimi successi. Invia lettere a politici del tempo, filosofi, economisti per convincerli che la riforma sanitaria militare era necessaria oltre che un dovere nei confronti dei soldati che perdevano la loro vita per i diritti del popolo.
Nel 1860 apre la sua “Training School of Nursing”, dove accetta solo le 15 candidate migliori, 15 future infermiere che desideravano con ogni cellula del loro corpo diventare come Florence.
Cosa direbbe oggi Florence della situazione che tutti noi stiamo vivendo? Forse non ci chiamerebbe eroi, ma lo penserebbe. Penserebbe forse che dentro l’essere umano risiede una forza inimmaginabile, una forza che nessuno di noi crede di avere. Forse avrebbe portato personalmente un fiore a tutti i colleghi vittima di questa pandemia, forse avrebbe pregato per loro, sicuramente lo avrebbe fatto.
Mi voglio soffermare sulle scene che in questi anni, da quando sono infermiera mi sono passate davanti agli occhi: violenza verso gli operatori, insulti, demansionamenti. Ma oggi ci chiamano Eroi, perchè curiamo persone affette da un virus che ci ha messo in ginocchio. Eppure, quello che stiamo facendo oggi è solo quello che abbiamo sempre fatto: “Prenderci cura dell’essere umano”. Solo che lo facciamo con uno strato in più, solo che lo facciamo con la paura, dentro di noi, di portarci a casa il virus e di trasmetterlo ai nostri cari. L’abbiamo vissuto nella solitudine di chi non poteva muoversi, l’abbiamo vissuto ridendo e ballando, sdrammatizzando. L’abbiamo vissuto piangendo, non dormendo, urlando gli uni con gli altri. Sappiamo ognuno di noi quello che ha visto: videochiamate con parenti, colloqui telefonici disastrosi, abbiamo visto morire tante persone, con le loro storie, il loro vissuto. Ma questo l’abbiamo sempre fatto.
E oggi, che sembra quasi tutto un po’ più tranquillo, sapete cosa penso? Penso che essere Infermiere è l’onore più grande che io possa avere.
“L’assistenza infermieristica è un’arte; e se deve essere realizzata come un’arte, richiede una devozione totale ed una dura preparazione, come per qualunque opera di un pittore o scultore; con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello spirito di Dio”.
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