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Anna (OSS): “mi occupo di assistenza domiciliare, costretta a gestire 20 pazienti in 6 ore di lavoro”.

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Assistenza domiciliare al collasso: OSS costretti a gestire 20 pazienti al giorno.

Oggi raccontiamo la storia di Anna (nome di fantasia), un’Operatrice Socio Sanitaria (OSS) che lavora per una nota cooperativa specializzata nell’assistenza domiciliare a pazienti non collaboranti. La sua testimonianza solleva interrogativi inquietanti sulle condizioni di lavoro degli operatori e sulla qualità dell’assistenza fornita ai pazienti più fragili.

“Lavoro da 10 anni in questa cooperativa, mi occupo di pazienti gravi e allettati a domicilio. I primi anni era bello: avevo 7-8 pazienti al giorno e riuscivo a gestirli dignitosamente. Dopo il COVID, tutto è cambiato. Ora la cooperativa mi costringe a seguirne 20 in sole sei ore di lavoro”, racconta Anna.

Una corsa contro il tempo che mette a rischio i pazienti.

La situazione descritta è drammatica. In media, Anna può dedicare a ogni paziente solo dai 6 ai 10 minuti, un tempo insufficiente per garantire un’assistenza adeguata.

“Tra spostamenti tra città e paesi vicini, preparazione del materiale e smaltimento dei rifiuti, il tempo effettivo per ogni paziente è ridotto all’osso. Questo compromette la qualità dell’assistenza e aumenta il rischio di infezioni e complicanze”, spiega.

Il problema non riguarda solo Anna, ma è il riflesso di un sistema in crisi. La cooperativa per cui lavora ha vinto un appalto pubblico indetto da una nota Azienda Sanitaria Locale (ASL) e opera da oltre 40 anni nel settore. Tuttavia, qualcosa è cambiato: forse la crisi economica post-COVID, forse il cambio ai vertici della cooperativa, forse la ricerca di maggiori guadagni hanno portato a un sovraccarico insostenibile per gli operatori e a un calo drastico nella qualità dell’assistenza.

Dove sono i controlli?

Secondo Anna, nessuno sta monitorando la situazione. “Alla ASL sta bene così, i pazienti e i loro caregiver sono impotenti di fronte a tanta inefficienza”, denuncia.

Il suo timore è che il sistema sia ormai al limite e che possa implodere da un momento all’altro, con gravi conseguenze per i pazienti più fragili.

Quanto durerà ancora questa situazione?

La storia di Anna non è un caso isolato, ma una fotografia di un settore in grave difficoltà. La domanda che sorge spontanea è: quanto si può andare avanti così prima che il sistema crolli del tutto?

Le istituzioni sanitarie e gli enti preposti devono intervenire prima che sia troppo tardi, garantendo non solo condizioni di lavoro dignitose per gli operatori, ma soprattutto un’assistenza adeguata per i pazienti che dipendono da questo servizio per la loro sopravvivenza.

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