AISI. Depenalizzazione Atto Medico, serve legge per tutelare la professione.
Salute, Depenalizzazione Atto Medico. Dott.ssa Saccomanno (Presidente Aisi): «Serve una legge chiara che tuteli i medici, sia della sanità pubblica che di quella privata accreditata. L’Italia è l’unico paese europeo, accanto alla Polonia, a non tutelare i suoi professionisti sanitari».
«Ricostruire e risanare un sistema sanitario complesso come il nostro, con alle spalle, soprattutto nel pubblico, anni difficili all’insegna dell’austerity, richiede, oltre a una ingente revisione degli investimenti, per stare al passo con una Europa che corre veloce, anche e soprattutto un concreto piano di valorizzazione economica-contrattuale del personale sanitario, mettendo, finalmente, “al centro del progetto salute”, medici e infermieri.
Retribuzioni più dignitose al passo con gli altri Paesi del Vecchio Continente è di certo la parola d’ordine per arginare fughe all’estero e dimissioni volontarie del personale ma, nel contempo, appare indispensabile consentire ai medici di lavorare con serenità e sentirsi tutelati per esprimere al meglio il proprio potenziale.
L’obiettivo che deve unirci, istituzioni, ordini professionali, sindacati, associazioni, deve essere naturalmente la qualità della tutela della salute del paziente, allo scopo di affrontare, sia nella sanità pubblica che in quella privata, le nuove sfide che ci attendono.
Ed è per questo che come Aisi, Associazione Imprese Sanitarie Indipendenti, appoggiamo in pieno la campagna della Fnomceo per chiedere al Governo di attuare un percorso legislativo chiaro e definitivo che preveda la definitiva depenalizzazione dell’atto medico, al pari di tutti gli altri Paesi europei.
Incredibile ma vero, solo l’Italia e la Polonia, e il Messico nel resto del mondo, sono indietro da questo punto di vista.
Ogni anno in Italia vengono intentate 35.600 nuove azioni legali, mentre ne giacciono 300 mila nei tribunali contro medici e strutture sanitarie pubbliche. Oltre la metà di queste sono in corso tra Lombardia e Lazio. Nel 97% dei casi (nell’ambito penale) si traducono in un nulla di fatto e con il proscioglimento, tuttavia con ingenti costi per le casse dello Stato».
Così esordisce la Dott.ssa Karin Saccomanno, Presidente di Aisi, Associazione Imprese Sanitarie Indipendenti.
«Tutto questo dimostra apertamente come occorra, finalmente, istituire una norma che ci metta sullo stesso piano degli altri Paesi Europei, non solo perché i numeri dimostrano che la maggior parte delle denunce sono spesso infondate, ma soprattutto perché, sulla stessa lunghezza d’onda della Federazione dei Medici, siamo da una parte soddisfatti dell’istituzione dello scudo penale, inserito nel Milleproroghe, fino al 31 dicembre 2024, ma siamo pienamente convinti che si debba e si possa arrivare a una legge definitiva.
La proroga dello scudo penale, fortemente voluta dalla FNOMCeO, rappresenta un successo per gli Ordini dei medici, dato che la possibilità di una causa penale è uno degli elementi che gravano sull’attività dei medici, soprattutto all’interno degli ospedali, e ne compromettono la serenità lavorativa.
Benché il 95% delle cause avviate contro i medici dai pazienti finiscano in un’assoluzione o un’archiviazione, gravano il professionista con un clima di timore, mancanza di fiducia, costi e danno reputazionale in cui la vera sentenza è la pendenza del processo.
Non dimentichiamo, continua la Dott.ssa Saccomanno, che questa situazione porta il medico a farsi carica di spesse importanti per le coperture assicurative, che spesso fanno cartello e di conseguenza si arriva a pagare cifre altissime.
La medicina in Italia non dovrebbe essere difensiva ma proattiva verso il paziente: è una questione di “mala cultura” che va sradicata.
Trovo paradossale che come professionisti dobbiamo conservare documentazioni delle prestazioni eseguite per ben 5-10 anni e dobbiamo lavorare con l’eterno timore di ritorsioni.
La serenità del medico nel suo operato dovrebbe finalmente diventare, invece, un patrimonio della comunità e in tal senso va difesa, senza andare a scapito della piena tutela giuridica del paziente», conclude la Saccomanno.
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