OSS sul piede di guerra nel Piacentino: “Non siamo infermieri, basta abusi!”.
Nel Piacentino, gli Operatori Socio-Sanitari (OSS) sono insorti contro quella che considerano una delega indebita di compiti medici e infermieristici da parte delle strutture sanitarie. “Non siamo stati assunti per fare gli infermieri”, affermano con fermezza. La protesta si è intensificata dopo che numerosi OSS hanno denunciato di essere stati costretti a preparare e somministrare farmaci, una responsabilità che ritengono esclusivamente degli infermieri.
La situazione ha raggiunto un punto critico, tanto che i rappresentanti degli OSS stanno valutando di rivolgersi alla Magistratura per tutelare i propri diritti e fare chiarezza sulla propria responsabilità professionale. Questo movimento di protesta ha sollevato un acceso dibattito in merito ai confini tra le diverse figure professionali nel settore socio-sanitario e alla crescente pressione sulle strutture sanitarie per far fronte a carenze di personale.
La denuncia degli OSS: “Non possiamo somministrare farmaci”
Il malcontento tra gli OSS è esploso in seguito alla crescente richiesta di svolgere mansioni che vanno ben oltre quelle previste dal loro profilo professionale. “Ci stanno facendo fare il lavoro degli infermieri. Preparare e somministrare farmaci è compito e responsabilità dell’infermiere”, denunciano i lavoratori. Secondo la loro interpretazione delle normative, l’OSS ha il compito di assistere gli utenti nelle attività quotidiane, supportando le persone nelle loro necessità di base come l’igiene, l’alimentazione, e la mobilizzazione. Tuttavia, la somministrazione di farmaci e la gestione delle terapie sono, secondo la legge, attività riservate agli infermieri, professionisti con una formazione specifica e una responsabilità legale in merito.
Questa situazione, secondo gli OSS, non solo mette a rischio la sicurezza dei pazienti, ma mina anche il ruolo e la dignità della loro professione, che rischia di essere continuamente svilita e sfruttata per compensare le carenze di personale infermieristico. “Siamo stanchi di essere utilizzati come ‘tappabuchi’ e di dover fare cose per cui non siamo preparati”, spiegano alcuni operatori.
Le ragioni della protesta: carenze di personale e responsabilità professionale.
La protesta degli OSS non nasce in un vuoto di contenuti, ma in risposta a una situazione di emergenza che da tempo caratterizza il settore socio-sanitario. Le RSA e le strutture sanitarie, in particolare, sono alle prese con una grave carenza di personale infermieristico. La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente accentuato questa difficoltà, con un aumento delle richieste di assistenza e una diminuzione delle risorse disponibili. A causa di questa carenza, le strutture si sono trovate costrette a delegare agli OSS compiti che non rientrano nelle loro mansioni, causando insoddisfazione tra gli operatori e preoccupazioni per la sicurezza dei pazienti.
In molte strutture, infatti, gli OSS sono spesso chiamati a svolgere attività che riguardano la preparazione e la somministrazione di farmaci, la gestione delle terapie e altre mansioni infermieristiche, in un contesto di forte pressione e stress. Se da un lato questo approccio potrebbe sembrare una soluzione temporanea per far fronte alla carenza di personale, dall’altro lato solleva interrogativi sulla legalità e sulla sicurezza di tali pratiche.
Le implicazioni legali: la questione della delega dei compiti.
Dal punto di vista legale, la situazione è complessa. L’OSS non ha competenze per somministrare farmaci, e la legge italiana prevede che questa responsabilità sia esclusiva degli infermieri, che hanno una formazione specifica in ambito farmacologico e sanitario. La somministrazione dei farmaci, infatti, è un atto medico e infermieristico che implica una responsabilità diretta sulla salute del paziente.
Nel caso in cui un OSS si trovi a somministrare farmaci senza la supervisione di un infermiere, ci sarebbero dei rischi legali, sia per l’operatore che per la struttura sanitaria. Se un errore dovesse verificarsi, potrebbero sorgere problematiche legali legate alla responsabilità professionale, con gravi conseguenze per la sicurezza dei pazienti e per la tutela del personale.
Inoltre, gli OSS hanno un contratto di lavoro che definisce chiaramente le mansioni che sono tenuti a svolgere. Delegare attività che esulano dalle loro competenze può configurarsi come un abuso, con la possibilità di violare i diritti dei lavoratori e di compromettere la qualità dell’assistenza.
Il ruolo delle istituzioni: cosa deve cambiare?
La protesta degli OSS solleva anche la questione delle politiche sanitarie e della gestione del personale nel settore socio-sanitario. La carenza di infermieri è un problema cronico che esiste da anni, e la pandemia ha solo esacerbato la situazione. Tuttavia, delegare compiti non adeguati agli OSS non è la soluzione giusta.
Le istituzioni sanitarie e politiche dovrebbero trovare soluzioni più strutturate per affrontare la carenza di personale, attraverso politiche di assunzione mirate, miglioramenti nelle condizioni di lavoro e investimenti nella formazione continua. Inoltre, sarebbe opportuno rivedere le linee guida che definiscono le competenze e i compiti delle diverse figure professionali, per evitare sovrapposizioni e garantire la sicurezza dei pazienti.
La risposta delle RSA: difficoltà nel gestire le risorse
Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), che si trovano a gestire il problema della carenza di personale, sono spesso costrette a prendere decisioni difficili. La pressione economica e la difficoltà di reperire personale qualificato fanno sì che in molte strutture gli OSS vengano chiamati a svolgere compiti che non rientrano nelle loro mansioni, pur consapevoli dei rischi legati a questa pratica.
L’azione legale intrapresa dagli OSS potrebbe rappresentare un passo importante per fare chiarezza sui confini professionali e sulle responsabilità, ma soprattutto per difendere il diritto degli operatori a lavorare in un contesto che rispetti le loro competenze e la loro dignità professionale. In attesa di sviluppi, il caso del Piacentino potrebbe fungere da campanello d’allarme per il sistema sanitario nazionale, che deve affrontare con urgenza il problema della carenza di personale e la corretta definizione dei ruoli all’interno delle strutture sanitarie.
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