La vita agra in corsia: “tante ore, pochi spiccioli. È peggio della Pandemia Covid”.
Alberto Moretti, infermiere 37enne, iscritto all’OPI della Capitale, racconta la dura realtà del lavoro in corsia, una realtà che spesso sembra ignorata dalle istituzioni. In servizio all’ospedale Umberto I di Roma, nella rianimazione, Moretti porta avanti la sua professione con dedizione, ma anche con una crescente frustrazione legata alle condizioni di lavoro e ai salari che non riflettono l’impegno richiesto. Dopo anni di precariato, finalmente ha ottenuto un contratto stabile, ma i suoi guadagni restano ben lontani dal giusto riconoscimento per il lavoro che svolge.
“Tante ore, pochi spiccioli. È così che descrivo la mia giornata. Nonostante le lunghe turnazioni e la pressione costante, lo stipendio non è commisurato all’intensità del nostro lavoro. È una vita che ha poco spazio per la famiglia, per il recupero, per qualsiasi altro sogno oltre il lavoro. Sembra che il sacrificio non venga mai riconosciuto”, confessa Alberto, che da anni lavora nei reparti ad alta intensità dell’ospedale capitolino.
Con il recente miglioramento delle condizioni di stabilità lavorativa, Moretti si ritrova però a fronteggiare una nuova delusione: gli straordinari, tanto celebrati dalle istituzioni come misura di supporto, si sono rivelati poco più di un’illusione. “Detassare gli straordinari? È inutile, non porta che due euro in più. Non basta per fare la differenza. Il problema è che questi due euro non valgono la fatica e le ore passate in corsia, sotto una pressione costante”, aggiunge con amarezza.
Molti colleghi, nella stessa situazione, condividono la frustrazione di Moretti. L’emergenza sanitaria legata alla pandemia ha portato a un riconoscimento momentaneo della loro dedizione, ma quel riconoscimento si è ben presto sgonfiato, lasciando solo promesse di miglioramenti che non si sono mai materializzati. “Quando dicono che è peggio della pandemia, non si parla solo dell’intensità del lavoro, ma anche del fatto che durante la pandemia, almeno, c’era una certa attenzione pubblica, una solidarietà sociale che ora è svanita.”
Alberto e i suoi colleghi chiedono che venga finalmente riconosciuto il loro impegno con azioni concrete. Non basta il miglioramento della stabilità lavorativa se non c’è un adeguato supporto economico e un miglioramento delle condizioni di lavoro.
La vita agra in corsia continua, e mentre le politiche sanitarie vengono riformulate, la speranza di chi vive quotidianamente il peso di un sistema sanitario che non sempre li supporta sembra sempre più lontana.
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