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Indagine Amsi: Professionisti sanitari seconda categoria al mondo a rischio suicidio. 

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Stressed medical doctor woman in office

Aodi: La percentuale di rischio suicidio per i professionisti sanitari è molto più alta rispetto al resto dei cittadini. Medici e infermieri, su tutti, presentano un allarmante tasso di suicidio che corrisponde a 21 ogni 100mila abitanti, rispetto alla popolazione “normale” che presenta un tasso di 12,6 ogni 100mila abitanti. Al primo posto ci sono gli infermieri e gli operatori socio sanitari con un tasso i 16,2 ogni 100mila abitanti, seguiti subito dopo dai medici, 13 ogni 100mila abitanti. Tra i professionisti al primo posto ci sono, per rischio suicidio, le donne della sanità, che superano del 70% il rischio di un gesto insano rispetto ai colleghi uomini.

ROMA 12 SETT 2024 – In occasione della Giornata per la prevenzione del suicidio, è emerso che, sia in Italia che a livello mondiale, sono ancora una volta le donne, come in passato, la figura più fragile e a rischio della nostra collettività, verso la quale le istituzioni, pubbliche e private, con strumenti adeguati, devono porre sempre di più la loro attenzione e soprattutto in relazione alle quali, in particolar modo le politiche sociali, sono chiamate ad attuare piani mirati di concreta salvaguardia.

Associazioni costantemente impegnate nello studio della salute globale e, in particolar modo nella tutela dei professionisti sanitari, come Amsi, Associazione Medici di Origine Straniera in Italia, Umem, Unione Medica Euromediterranea, e il Movimento Internazionale Uniti per Unire, vogliono proporre, all’attenzione di media, un’analisi approfondita sui potenziali rischi nei quali, medici e infermieri su tutti, incorrono. Stiamo parlando della seconda professione al mondo a rischio suicidio: lo confermano le attendibili percentuali dell’indagine realizzata e coordinata dal Prof. Foad Aodi, esperto di salute globale, grazie all’immancabile supporto di Radio-Co-mai internazionale, presente in oltre 120 paesi del mondo. 

Il report di Amsi, Umem e Uniti per Unire conferma che sono diversi i fattori che, negli ultimi 5 anni, contribuiscono a collocare i professionisti sanitari, sia nei paesi più sviluppati, che in quelli economicamente più deboli, in una posizione di concreto pericolo per quanto riguarda il rischio di suicidio, con la necessità che la maggior parte di essi siano chiamati a rivolgersi a psicologi, sia all’interno delle strutture dove lavorano, messi a disposizione dai datori di lavori, sia esternamente. Non tutti i professionisti, però, sono disposti a denunciare quei gravi disagi che, se non curati, potrebbero aggravarsi e nel corso del tempo aumentare il pericolo di compiere un gesto estremo. 

«La depressione, che deve essere concepita come una vera e propria malattia, come un nemico invisibile e subdolo, non va mai sottovalutata. Va curata e arginata sul nascere al primo campanello di allarme. I professionisti, sia in Italia che nel mondo, sono sottoposti a ritmi di lavoro sempre più frenetici, ma soprattutto è lo stress derivato a giocare un fattore chiave nello sviluppo di vere e proprie patologie psichiche con cui fare i conti. Si va dalla disorganizzazione e dai deficit dei sistemi sanitari, che medici e infermieri pagano costantemente sulla propria pelle, fino a quei legittimi stati ansiogeni che, nei reparti di emergenza-urgenza, nascono con il contatto spesso traumatico con la morte, passando attraverso fenomeni come le aggressioni che provocano cicatrici, non solo fisiche, da cui è difficile liberarsi. Ci sono poi altre situazioni che scatenano un accumulo di stress che nel tempo, nei soggetti più predisposti, apre la strada a vere e proprie malattie, come quella sindrome di burnout di cui soffrono, in Italia e nel mondo, 6 professionisti su 10. 

Si tratta di una patologia spesso debilitante, che impedisce di svolgere al meglio il proprio lavoro. Altre cause possono essere i conflitti con i colleghi, le ambizioni personali che spesso vengono tradite dalle scarse prospettive di carriera e ancora le denunce che, in particolare i medici, subiscono dai pazienti, molto spesso gonfiate ad arte. In paesi come l’Italia, dove non esiste ancora una legge a favore della depenalizzazione dell’atto medico, tutto questo può minare profondamente la serenità del professionista. Per non parlare poi dei ritmi di lavoro che, in particolare per le donne, diventano insostenibili, nel momento in cui, in primis dottoresse e infermiere, devono anche sostenere il non semplice ruolo di madri e mogli, avendo il compito di gestire spesso situazioni familiari difficili, come parenti malati a cui provvedere. 

In tal senso, come vedremo dalle nostre statistiche, anche nella sanità le donne si confermano la figura più fragile, superando nettamente in percentuale, per rischio suicidio, i colleghi uomini.

Naturalmente anche le poco dignitose retribuzioni giocano un ruolo chiave, visto che parliamo spesso di stipendi che non riescono a tenere il passo con l’aumento spropositato del costo della vita». Così il Prof. Foad Aodi presenta le indagini di Amsi, Umem e Uniti per Unire per quanto riguarda il rischio suicidio dei professionisti sanitari.

LE STATISTICHE

Tasso suicidi professionisti sanitari:

Nel mondo sono aumentati del 15% negli ultimi 5 anni.

La percentuale per I professionisti sanitari è molto più alta rispetto al resto dei cittadini.

Medici e infermieri, su tutti, presentano un allarmante tasso di suicidio che corrisponde a 21 ogni 100mila abitanti, rispetto alla popolazione “normale” che presenta un tasso di 12,6 ogni 100mila abitanti.

– Al primo posto ci sono gli infermieri e gli operatori socio sanitari con un tasso i 16,2 ogni 100mila abitanti, seguiti subito dopo dai medici, 13 ogni 100mila abitanti.

– I professionisti sanitari sono la seconda categoria al mondo con il più alto rischio di suicidio, dopo gli artisti e le persone dello spettacolo.

Le cause: 

– stress lavorativo e turni massacranti che costringono ad avere poco spazio per la famiglia e gli affetti personali. Nel caso delle donne il doppio faticoso ruolo di dottoresse/infermiere da una parte e madri/mogli dall’altra.

-Aggressioni e violenze fisiche e psicologiche subite, sul luogo di lavoro, da colleghi e pazienti, trauma che si rivela difficile da superare. Nel caso delle donne anche violenze e abusi a sfondo sessuale. 

– Scarse prospettive di carriera e frustrazione derivata da retribuzioni non all’altezza del costo della vita.

– Stress derivato dal delicato lavoro nei reparti di emergenza urgenza.

– Liti e contrasti con i colleghi, scarso dialogo con questi ultimi e con i pazienti.

– Al primo posto ci sono, per rischio suicidio, le donne della sanità, che superano del 70% il rischio di un gesto insano rispetto ai colleghi uomini.

– 6 professionisti sanitari su 10 ammettono di soffrire di depressione e di traumi maturati sul luogo di lavoro.

– Molto spesso la depressione dei professionisti sanitari viene nascosta per paura di compromettere la propria posizione lavorativa agli occhi dei colleghi e dei superiori.

– Il rischio di suicidio aumenta del 10% per i professionisti sanitari che lavorano nei luoghi difficili, nei paesi dove ci sono guerre e nelle nazioni povere in via di sviluppo dove la sanità è deficitaria.

– Tra le altre cause ci sono anche la discriminazione verso i professionisti sanitari immigrati, che è comunque una forma di violenza, e anche i contrasti interni con i colleghi e l’ansia di prevalere sull’altro e avere successo a tutti i costi

– Il 10% delle cause di depressione che può aumentare il rischio di suicidio è derivato dal trauma legato ad un possibile errore commesso su un paziente, che apre la strada ad una denuncia che può rovinare l’immagine e la carriera. Le denunce, spesso gonfiate, minano nel profondo la tranquillità del professionista, soprattutto se lo portano dalle corsie degli ospedali alle aule dei tribunali.

«Non c’è dubbio che il quadro è allarmante, commenta Aodi. Le soluzioni ci sono e sono nelle mani e nelle strategie delle nostre politiche sanitarie. Le abbiamo sintetizzate in alcuni punti e rappresentano le nostre proposte per tutelare maggiormente i professionisti sanitari dal rischio di depressioni che possono diventare malattie incurabili. 

PROPOSTE AMSI-UMEM-UNITI PER UNIRE PER TUTELARE I PROFESSIONISTI SANITARI DAL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO 

1. Aumentare e migliorare l’organizzazione di servizi specializzati per la cura dello stress psicologico a disposizione dei colleghi all’interno degli stessi ospedali dove lavorano, grazie alla presenza di professionisti specializzati.

2. Istituire maggiori comitati di ascolti all’interno degli ospedali per monitorare la situazione di ogni singolo professionista, con particolare attenzione a coloro che hanno già subito episodi di violenza fisica o psicologica.

3. I professionisti stessi non devono avere il timore di confessare le proprie fragilità e di esporre le proprie problematiche, senza correre il rischio di compromettere la propria posizione lavorativa agli occhi dei datori di lavoro.

«Prima che sia troppo tardi, tutti, nessuno escluso, dobbiamo fare la nostra parte per salvare i professionisti sanitari dal rischio suicidio. Prima che si arrivi ad un punto di non ritorno. Alla politica italiana e internazionale, sanitaria e sociale, chiediamo di non fare più promesse a vuoto e di tutelare concretamente, con adeguati strumenti e piani mirati, la salute fisica e psichica dei professionisti sanitari, dal cui benessere dipende quello dei cittadini». 

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