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Il sussurro Celeste del Meyer: l’ombra bianca che veglia sull’Oncologia Pediatrica.

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Medici, infermieri e OSS giurano di averla vista: una figura eterea, una bambina albina dagli occhi di cielo, si aggira tra i letti del reparto più delicato dell’Ospedale Meyer. Una promessa sussurrata tra le lacrime si fa presenza inquietante e, per alcuni, confortante.

Le mura del reparto di Oncologia dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze sono spesso silenziose, cariche di speranze fragili e di piccole battaglie combattute con coraggio. Ma da qualche tempo, un’eco sottile, quasi impalpabile, si è aggiunta al quotidiano susseguirsi di cure e attenzioni. Non è un suono, ma una presenza. L’ombra di una bambina, descritta come albina, con capelli candidi come la neve e occhi di un azzurro cristallino, continua a manifestarsi tra i letti dei piccoli pazienti. La sua storia, intrisa di dolore e di una promessa sussurrata nell’ultimo respiro, ha iniziato a diffondersi tra il personale sanitario, tingendo di mistero le lunghe notti del reparto.

Il ricordo incancellabile di Celeste.

Celeste aveva solo otto anni quando un tumore al cervello l’ha strappata all’affetto dei suoi cari e alle cure amorevoli dell’équipe medica del Meyer. Era una bambina speciale, la sua albinismo la rendeva unica, quasi eterea. Testimoni raccontano di una forza d’animo incredibile, un sorriso raro ma capace di illuminare l’intera stanza. Sul suo letto di morte, in un sussurro flebile ma carico di significato, si era rivolta alla madre con parole che oggi risuonano come una promessa: “Non stare triste, mamma. Io sarò sempre con voi… e con i dottori e gli infermieri che mi hanno voluto bene”.

Le apparizioni: tra inquietudine e conforto.

Da quel giorno, le testimonianze si sono moltiplicate. Medici che, nel silenzio della notte, hanno percepito una leggera brezza gelida attraversare il corridoio. Infermieri che, voltandosi, hanno intravisto una figura diafana, immobile accanto a un letto vuoto, per poi vederla svanire nel nulla. OSS che, durante i loro giri di controllo, hanno sentito un leggero tocco sulla spalla, senza trovare nessuno.

Le descrizioni coincidono: una bambina albina, con quegli occhi azzurri penetranti che sembrano brillare di una luce propria. Alcuni provano un brivido di inquietudine, un senso di inspiegabile presagio. Altri, soprattutto coloro che avevano legato con la piccola Celeste, percepiscono la sua presenza come un conforto, una silenziosa veglia sui bambini ancora in lotta.

Un mistero avvolto nel dolore.

La razionalità fatica a trovare spiegazioni. Stanchezza, suggestione, il peso emotivo di un ambiente così carico di sofferenza? Forse. Ma la concordanza delle testimonianze, la serenità che alcuni operatori giurano di percepire in quei fugaci incontri, lasciano spazio a un’ombra di mistero.

C’è chi crede che Celeste, nel suo ultimo atto d’amore, abbia davvero mantenuto la sua promessa, rimanendo in quel luogo che l’ha accolta e curata, diventando una sorta di angelo custode silenzioso. Un’anima fragile che, pur non essendo più fisicamente presente, continua a vegliare sui piccoli pazienti e su coloro che si prendono cura di loro con dedizione.

Un fenomeno che interroga.

Che sia frutto della suggestione collettiva o una manifestazione inspiegabile, la storia del fantasma di Celeste al Meyer interroga le nostre certezze e ci ricorda il profondo legame che si crea tra pazienti e curanti, un legame che a volte sembra trascendere i confini della vita stessa. E mentre il sole sorge su un nuovo giorno di speranza e di lotta nel reparto di Oncologia, qualcuno giura di aver visto, per un istante fugace, una figura bianca svanire nell’aria, portando con sé un sussurro celeste di eterna presenza.

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