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Quinci (neo-IFeC): “Telemedicina e infermieri di famiglia e di comunità: così cambia la cura dei pazienti cronici”.,

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Loredana Quinci, giovane mamma e infermiera di talento, si distingue per la sua passione per lo studio e la dedizione alla professione. Recentemente, ha raggiunto un importante traguardo accademico conseguendo, presso l’Università degli Studi di Ferrara, il Master di I Livello in Infermieristica di Famiglia e di Comunità (IFeC). Originaria della Sicilia, Loredana si è trasferita in Emilia Romagna, ad Argenta, per motivi di lavoro e amore. Con una solida carriera alle spalle, che include esperienze sia sul territorio che nelle RSA, è riconosciuta da chi la conosce come una professionista di grande valore e dedizione.

Qualche giorno fa ha completato con successo il Master che, si spera, le aprirà nuove opportunità per diventare una vera Infermiera di Famiglia e di Comunità. Attualmente lavora presso l’azienda sanitaria pubblica locale, mettendo a disposizione la sua professionalità e dedizione. È madre di due figli, una bambina e un bambino, e una moglie straordinaria. Qualità che la rendono la collega ideale con cui affrontare ogni turno.

Negli ultimi decenni, la medicina ha compiuto passi straordinari, permettendoci di vivere più a lungo. Tuttavia, questo straordinario risultato porta con sé un lato meno luminoso, che inevitabilmente toccherà ciascuno di noi, direttamente o indirettamente, attraverso le esperienze dei nostri cari. L’aumento dell’aspettativa di vita ha infatti reso le malattie croniche una realtà quotidiana per milioni di italiani, trasformandole in compagne di viaggio lungo il percorso della vita.

Riflettiamo un attimo: al giorno d’oggi, un settantenne con diabete, ipertensione e problemi cardiaci non rappresenta più un’eccezione, ma una realtà comune. Se una volta i nostri nonni spesso “ci lasciavano” a causa di un infarto intorno ai 65 anni, oggi quella stessa persona può arrivare a vivere fino a 85 anni, però con necessità assistenziali complesse e costanti.

IMG-20250327-WA0038-768x1024 Quinci (neo-IFeC): "Telemedicina e infermieri di famiglia e di comunità: così cambia la cura dei pazienti cronici".,

Di cosa ha parlato nella sua tesi? Un sistema sanitario sotto pressione.

Il problema è che il nostro sistema sanitario è stato pensato per un’altra epoca. È come se avessimo una Fiat 500 (il nostro caro, vecchio Servizio Sanitario Nazionale) a cui chiediamo di fare il lavoro di un furgone pesante. Le visite specialistiche si moltiplicano, i reparti ospedalieri sono sotto assedio, e chi vive in paesi isolati spesso deve scegliere tra ore di viaggio o rinunciare alle cure.

Eppure, proprio mentre il sistema sembra sul punto di collassare, sta nascendo una rivoluzione silenziosa. Una rivoluzione fatta di tecnologia e di professionalità spesso sottovalutate. Sto parlando del binomio vincente tra telemedicina e infermieri di comunità, quel cambiamento epocale che il DM 77/2022 ha finalmente istituzionalizzato.

L’infermiere di comunità: molto più di un “infermiere di famiglia.

Immaginate Maria, un’infermiera di 45 anni che lavora in un piccolo comune delle Marche. Non è più quell’angelo in corsia che vediamo nelle serie TV, ma una professionista che entra nelle case, conosce le famiglie, sa che il signor Rossi non prende le medicine perché non riesce a leggere i bugiardini, che la signora Bianchi nasconde le ferite al piede per paura dell’ospedale.

Grazie alla nuova normativa, Maria non è più sola. Fa parte di una Centrale Operativa Territoriale (COT) che coordina i bisogni di 100.000 abitanti.

Quando il dottor Verdi, il medico di famiglia, le segnala un paziente con scompenso cardiaco, Maria può:

  • Monitorare a distanza i suoi parametri vitali
  • Coordinarsi con il cardiologo via teleconsulto
  • Evitare che un semplice gonfiore alle gambe si trasformi in un ricovero d’urgenza

La tecnologia che avvicina, non che allontana.

C’è chi teme che la telemedicina sia un modo per “sostituire” il rapporto umano con fredde apparecchiature. Ma la verità è esattamente opposta. Quella videoconsultazione permette al cardiologo di Milano di visitare un paziente in un paesino della Basilicata senza fargli fare 8 ore di treno. Quel saturimetro digitale permette a Maria di controllare il suo paziente anziano due volte al giorno, invece di una volta alla settimana.

Storie che fanno sperare.

Prendiamo il caso di Antonio, 78 anni, vive solo in un paese dell’Appennino modenese. Con la sua insufficienza cardiaca, prima del progetto pilota faceva il giro: Pronto Soccorso, ricovero, dimissione, e dopo due settimane di nuovo al punto di partenza. Oggi ha un tablet semplice semplice che gli ricorda di pesarsi ogni mattina. I dati vanno direttamente alla COT, dove l’infermiere Luca li controlla insieme al medico. Se qualcosa non va, Luca gli fa una videochiamata, controlla che abbia preso le medicine, e se necessario attiva una visita domiciliare.

Risultato? Antonio non vede l’ospedale da 11 mesi. E il sistema sanitario ha risparmiato decine di migliaia di euro.

La strada da fare.

Non illudiamoci: la strada è ancora lunga. Servono più infermieri specializzati (ne mancano almeno 10.000), serve colmare il digital divide (quanti anziani hanno paura anche solo di accendere un tablet?), serve superare le differenze tra Nord e Sud.

Ma per la prima volta dopo anni di tagli e difficoltà, c’è un progetto chiaro. Un progetto che mette al centro non la malattia, ma la persona; non l’ospedale, ma il territorio; non l’emergenza, ma la prevenzione.

Forse, senza accorgercene, stiamo costruendo il Servizio Sanitario Nazionale del futuro. Un servizio che dovrà accompagnare molti di noi negli anni difficili della vecchiaia. E questa volta, forse, saremo pronti.

La sua tesi di Master:

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