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Il diario della camera 12. L’ultimo turno di una OSS.

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L’ingresso.

Il cartello “Residenza Anni Sereni” luccicava al sole come una beffa. Il mio primo giorno come OSS, a ventitré anni, con il cuore pieno di speranza e le mani pronte a curare.

“Ecco la nuova!” annunciò la coordinatrice, Elisa, indicandomi con un gesto vago. “Prendi l’armadietto di Marco. Lui… beh, non serve più.”

Nessuno mi spiegò perché Marco se n’era andato. Notai solo come le infermiere evitassero il corridoio ovest dopo le 22:00, e il sorriso troppo largo del dottor Mancini quando controllava le flebo nella camera 12.

Gli indizi.

Dopo un mese, conoscevo ogni ruga dei nostri anziani, ogni gemito della struttura. E iniziai a notare:

  • Il signor Righetti (camera 12), che ogni giovedì aveva “bisogno di riposo” dopo la visita del dottore, e si svegliava più confuso.
  • La signora Bianchi, con lividi a forma di dita sulle braccia, che mi afferrava la mano: “Non me ne vogliono bene, tesoro”.
  • Gli sguardi delle colleghe quando spegnevo la telecamera di sicurezza per cambiare un pannolone.

“Qui sopravvivi se fai finta di non vedere,” mi sussurrò Lucia, l’unica che ancora sorrideva.

La notte della verità.

Era il 15 novembre, pioggia battente. Nella camera 12, il signor Righetti ansimava. Entrai senza bussare.

Il dottor Mancini era piegato su di lui, una siringa in mano. “Sta solo dormendo,” disse, troppo calmo. Ma il cuscino era premuto sul volto del vecchio.

Il mio telefono cadde. Il dottore lo raccolse, pulendolo con un guanto. “Stai attenta, Sara. Le cadute… possono essere fatali.”

La caccia.

Nei giorni seguenti il mio cane fu trovato morto, la serratura di casa era graffiata, un biglietto nella mia borsa: “40 anni di silenzio non li rompe una ragazzina”.

Comprai una penna-spia. Registrai: flebo “sbagliate” nella camera 12, la signora Bianchi strattonata per un riflesso; le risate del personale mentre un paziente chiamava aiuto.

La fuga.

Quando il video finì in TV, la polizia arrivò all’alba. Io ero già su un treno, con un biglietto di sola andata, la foto della signora Bianchi, morta due giorni prima, sul retro, la sua scrittura tremante: “Grazie per avermi ascoltata”.

Epilogo.

Oggi lavoro in una casa famiglia tra i boschi. Ma a volte, quando il vento ulula, sento ancora quelle voci: “nessuno crede a un’OSS.”

Questa storia è vera. E potrebbe accadere nella RSA vicino a te.

Il ritrovamento.

Un anno dopo la fuga dalla Residenza Anni Sereni, ricevetti una scatola anonima. Dentro, un quaderno sgualcito con la scritta “Marco – Appunti personali”.

Le prime pagine erano normali: orari di terapia, allergie dei pazienti. Poi, a pagina 47, trovai la verità.

Il diario proibito.

“12 marzo – Camera 12. Il signor Righetti ha raccontato tutto. Lui SA cosa fanno con le flebo del ‘protocollo calma’. Domani lo denuncio.”

“13 marzo – Hanno scoperto che so. Elisa mi ha minacciato. Domani porto le prove alla ASL.”

L’ultima annotazione era una foto strappata: il dottor Mancini mentre versava una polvere bianca nella flebo della signora Bianchi. Sul retro, un numero di telefono.

Chiamai. Rispose una voce roca: “se hai il diario, sei già nei guai.”

La ragazza con la penna-spia.

Ritornai di nascosto ad Alessandria. La Residenza Sereni ora si chiamava “Villa Aurora”, ma lo stesso odore di disinfettante rancido, le stesse infermiere (Lucia era diventata coordinatrice) e la stessa camera 12, ora con la targa “Deposito”.

Notturna, entrai dalla finestra dei servizi. Cercai nel cassetto dove Marco teneva i farmaci.

Trovai 20 flebo modificate, etichettate “Vitamina K” ma con una sostanza lattiginosa. E una lettera: “sara, se leggi questo, sono morto. Hanno ucciso 14 pazienti. Le prove sono nel caveau della banca (conto 3405X). Password: il nome del tuo cane.”

La lista dei nomi.

Il caveau conteneva un registro con nomi e date: “Pazienti del ‘protocollo speciale'”, ricevute di bonifici a familiari (per il “silenzio”), un video che mostrava Elisa e il dottore parlare con un uomo in giacca: “Ogni morto ci fa risparmiare 3.000 euro al mese”.

Era il direttore sanitario della ASL.

La trappola.

Mentre scappavo, la luce si accese.

“Sara… Marco ci aveva avvertito che saresti tornata.” Lucia bloccava l’uscita, una siringa in mano. “Sei l’ultima testimone.”

Ma non sapeva che:

  1. Avevo inviato tutto a un giornalista.
  2. La polizia stava arrivando (grazie a una chiamata anonima).
  3. In tasca avevo la penna-spia che stava ancora registrando.

“Sorridi, Lucia. Sei in diretta nazionale.”

Le conseguenze.

Furono arrestati il dottor Mancini, Lucia, e 5 infermieri; chiusa la struttura; il direttore ASL si è “suicidato” in cella (ma io so cosa ho visto quella notte).

Ora lavoro in una piccola casa di riposo in Svizzera. Ma ogni 15 novembre, torno a lasciare fiori sulla tomba del signor Righetti.

Sulla lapide ho fatto incidere, d’accordo con i suoi parenti e conoscenti: “grazie per avermi insegnato a lottare. La tua voce ha salvato altri 100 anziani.”

Fine o forse no?

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