Nursing Up. Pausa pranzo o maratona? Il paradosso di Infermieri, OSS e Professioni Sanitarie.
Tra divieti di accesso in mensa con la divisa e tempi di vestizione, il diritto alla pausa si trasforma in un miraggio.
Immaginate di lavorare in un ospedale, di indossare una divisa che è simbolo di cura e dedizione, e di dover affrontare turni estenuanti tra corsie affollate, emergenze e pazienti bisognosi di assistenza. Ora immaginate di avere solo 30 minuti per una pausa pranzo, ma di doverli passare a correre: togliere la divisa, fare la fila in mensa, mangiare di fretta e rivestirsi in tempo per tornare al lavoro.

Questo non è uno scenario ipotetico, ma la realtà che molti infermieri, medici e operatori socio-sanitari stanno vivendo in alcune aziende sanitarie italiane, come la Città della Salute di Torino. Qui, il divieto di accesso alla mensa con la divisa, giustificato da motivi igienico-sanitari, sta trasformando la pausa pranzo in una corsa contro il tempo.
Un diritto negato.
Secondo il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), ogni dipendente ha diritto a 30 minuti di pausa. Ma quando questi minuti vengono erosi da attività come la vestizione e la svestizione, il risultato è una pausa che di fatto non esiste più.
“È un paradosso inaccettabile,” denuncia Nursing Up, l’associazione che rappresenta gli infermieri e gli operatori sanitari. “Vuoi mangiare? Allora corri. Ma fallo nel tempo che ti resta, perché quei 30 minuti di pausa, di fatto, sono un miraggio.”
Il caso di Torino: un precedente pericoloso.
A Torino, il Commissario Thomas Schael ha vietato l’accesso alla mensa con la divisa, una decisione che, seppur motivata da ragioni igieniche, non è stata accompagnata da misure compensative per il personale. Il risultato? Infermieri, medici e operatori costretti a una maratona quotidiana per poter mangiare, con conseguenze pesanti sul loro benessere e sulla qualità dell’assistenza ai pazienti.
“Se altre aziende sanitarie seguiranno lo stesso approccio senza prevedere soluzioni organizzative adeguate, il risultato sarà un personale sempre più provato, meno efficiente e, alla lunga, meno numeroso,” avverte Nursing Up.
Le conseguenze: operatori esausti e cure a rischio.
Un operatore sanitario stanco, affamato e privato del tempo necessario per recuperare le energie è un operatore meno lucido e meno efficace. E questo si traduce in un peggioramento della qualità delle cure per i pazienti.
“La sanità non si regge solo sui contratti e sui bilanci,” sottolinea Nursing Up. “Si regge su uomini e donne che ogni giorno indossano la divisa per garantire assistenza ai cittadini. Ma se questi uomini e donne vengono spremuti fino all’osso, senza preoccuparsi di farli esercitare i loro sacrosanti diritti, allora il rischio concreto è che, a lungo andare, semplicemente non ci sarà più nessuno a indossarla.”
Proposte concrete: soluzioni, non vessazioni.
Nursing Up chiede interventi immediati e risolutivi per garantire che il rispetto delle norme igieniche non si trasformi in un ostacolo al diritto alla pausa pranzo. Le soluzioni proposte sono chiare:
- Riconoscere il tempo di vestizione e svestizione come orario di lavoro: almeno 15 minuti prima e 15 minuti dopo i 30 minuti di pausa, per chi è obbligato a indossare una divisa.
- Garantire l’effettiva fruizione della pausa: se il personale amministrativo può godere di tutti i 30 minuti senza ostacoli, perché gli operatori sanitari devono vedersi diminuire sensibilmente il proprio tempo?
Una domanda lecita: igiene o risparmio?
Quando una decisione viene giustificata con motivazioni igienico-sanitarie, ci si aspetterebbe che fosse accompagnata da misure concrete per tutelare il personale coinvolto. Eppure, nel caso della mensa dell’ospedale Molinette, la realtà sembra raccontare tutt’altra storia.
“Sorge spontanea una domanda: siamo davvero di fronte a una misura per garantire la sicurezza e l’igiene, o piuttosto a una strategia sottile per limitare l’accesso alla mensa, scoraggiando i dipendenti e riducendo i costi?” si chiede Nursing Up.
Il sospetto è legittimo. Se questa misura avesse davvero a cuore l’igiene, allora si sarebbero previste soluzioni per garantire l’effettiva fruizione della pausa. Ma quando a essere penalizzati sono solo infermieri, medici e operatori sanitari, mentre altre categorie di lavoratori possono consumare il proprio pasto senza intoppi, viene il dubbio che l’interesse primario non sia la sicurezza, ma il bilancio aziendale.
Il rischio a lungo termine.
Se gli ospedali diventano luoghi dove lavorare significa essere sottoposti a continui tagli e restrizioni, chi sceglierà ancora di indossare il camice? La domanda è lecita: stiamo parlando di tutela della salute pubblica o di un’operazione contabile travestita da norma igienica?
Di fronte a scelte che penalizzano chi garantisce l’assistenza sanitaria, viene anche da pensare che, di questo passo, il vero problema non sarà più il tempo della pausa ma l’assenza di chi dovrebbe prendersi cura dei pazienti.
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