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Salute, Nursing Up: tempi di vestizione e svestizione per i professionisti sanitari. L’assurdo paradosso di chi deve scegliere tra nutrirsi o lavorare. Una questione di igiene o di risparmio?

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infermieri Salute, Nursing Up: tempi di vestizione e svestizione per i professionisti sanitari. L’assurdo paradosso di chi deve scegliere tra nutrirsi o lavorare. Una questione di igiene o di risparmio?

Mentre gli infermieri, i medici e gli operatori socio sanitari vengono trasformati in “maratoneti delle pause pranzo”, a rimetterci è l’intero sistema sanitario: personale sempre più esausto e sempre meno infermieri in corsia.

ROMA 19 MAR 2025 – C’è qualcosa di profondamente sbagliato in un sistema che impone agli operatori sanitari un paradosso inaccettabile: vuoi mangiare? Allora corri. Ma fallo nel tempo che ti resta, perché la tua pausa, quei 30 minuti da contratto, di fatto non esiste più.

È quello che rischia di verificarsi in alcune aziende sanitarie, come in Piemonte, dove si è deciso di vietare l’accesso alla mensa con la divisa da lavoro. 

Una decisione che, seppur motivata da ragioni igienico-sanitarie, senza i doverosi accorgimenti dedicati al personale sanitario, rischia di trasformarsi nell’ennesima penalizzazione ai danni di chi lavora in prima linea. 

Perché tra il dover togliere la divisa, fare la fila, consumare un pasto di fretta e rivestirsi, di quei 30 minuti di pausa resta poco più di un “miraggio”. E in un ospedale grande, dove raggiungere la mensa è già un’impresa, la situazione si fa ancora più grottesca.

Il caso di Torino: il primo tassello, una realtà che merita di assumere rilievo nazionale, perché potrebbe avere un effetto domino pericoloso

Le nuove disposizioni imposte alla Città della Salute di Torino stanno generando un pericoloso precedente. Il Commissario Thomas Schael ha vietato l’accesso alla mensa con la divisa, cosa che rientra tra le sue prerogative, ma senza preoccuparsi di adottare disposizioni di compensazione sulle ricadute pratiche su chi già lavora sotto pressione, e sugli effetti che queste disposizioni hanno sui diritti dei dipendenti.

Se altre aziende sanitarie seguiranno lo stesso approccio senza prevedere soluzioni organizzative adeguate, il risultato sarà un personale sempre più provato, meno efficiente e, alla lunga, meno numeroso.

E attenzione, qui il problema non è quello di vietare o meno l’accesso a mensa in divisa, ma bensì il fatto, come conseguenza di questo , di non adottare disposizioni atte a garantire comunque, ai dipendenti tenuti ad indossare una divisa, l’esercizio del loro diritto sacrosanto nel tempo di 30 minuti riconosciuto dalla  norma contrattuale.

Una pausa che rischia di diventare una presa in giro

Secondo il CCNL, ogni lavoratore ha a disposizione 30 minuti di pausa. Ma se una parte di questo tempo viene sottratta dalla necessità di cambiarsi, fare la fila e poi rivestirsi, che fine fa il diritto a questi 30 minuti ? 

Siamo di fronte a un’illusione giuridica: infatti, imponendo attività aggiuntive di vestizione e svestizione oltre quelle già attuate all’arrivo ed alla fine del servizio, senza preoccuparsi di attuare, contemporaneamente, provvedimenti di “compensazione”, ciò che resta del diritto del dipendente è qualcosa di aleatorio, che si sgretola nella realtà quotidiana.

E allora ci chiediamo: di cosa si sta parlando, esattamente? Di una pausa o di un miraggio?

Le conseguenze? Infermieri, medici, ostetriche ed operatori socio sanitari più stanchi, e cure a rischio.

Non è solo una questione di principio. Un professionista sanitario stanco, affamato, privato del tempo necessario per recuperare le energie, è un professionista meno lucido e meno efficace. E questo si traduce in un peggioramento della qualità delle cure per i pazienti.

Perché la sanità non si regge solo sui contratti e sui bilanci: si regge su uomini e donne che ogni giorno indossano la divisa per garantire assistenza ai cittadini. Ma se questi uomini e donne vengono spremuti fino all’osso, senza preoccuparsi  di fargli esercitare i loro sacrosanti diritti, allora il rischio concreto è che, a lungo andare, semplicemente non ci sarà più nessuno a indossarla.

Proposte concrete: servono anche soluzioni, non solo vessazioni

Nursing Up chiede interventi immediati e risolutivi, perché il rispetto delle norme igieniche trovi il doveroso contemperamento con il diritto dei dipendenti a nutrirsi nel rispetto delle norme contrattuali, e non può trasformarsi in un salto ad ostacoli  per gli operatori sanitari interessati.

Le soluzioni sono chiare.

Occorre riconoscere il tempo di vestizione e svestizione funzionale all’esercizio del diritto di mensa, per almeno 15 minuti prima, e 15 minuti dopo i 30 minuti indicati dal contratto, come orario di lavoro a tutti gli effetti per chi è obbligato a indossare una divisa. 

Solo così i 30 minuti di pausa potranno essere realmente utilizzati. Infatti, se il personale amministrativo può godere di tutti i 30 minuti senza ostacoli, perché gli infermieri e gli altri operatori sanitari devono vedersi diminuire sensibilmente il proprio tempo contrattualmente previsto ?

DI FRONTE A SCELTE CHE PENALIZZANO CHI GARANTISCE L’ASSISTENZA SANITARIA, LA DOMANDA È LECITA: STIAMO PARLANDO DI TUTELA DELLA SALUTE PUBBLICA O DI UN’OPERAZIONE CONTABILE TRAVESTITA DA NORMA IGIENICA?

Quando una decisione viene giustificata con motivazioni igienico-sanitarie, ci si aspetterebbe che fosse accompagnata da misure concrete per tutelare il personale coinvolto. Eppure, nel caso della mensa dell’ospedale Molinette, la realtà sembra raccontare tutt’altra storia.

Sorge spontanea una domanda: siamo davvero di fronte a una misura per garantire la sicurezza e l’igiene, o piuttosto a una strategia sottile per limitare l’accesso alla mensa, scoraggiando i dipendenti e riducendo i costi? Il sospetto è legittimo.

L’imposizione del divieto di accesso alla mensa in divisa, senza prevedere adeguate compensazioni temporali per la vestizione e svestizione, si traduce in un ostacolo concreto al diritto alla pausa pranzo. Chi lavora in corsia si trova costretto a una corsa contro il tempo, a scapito del recupero delle energie e della qualità dell’assistenza ai pazienti.

E così, il risultato è prevedibile: meno operatori sanitari in mensa, meno pasti serviti, e un risparmio economico che, se fosse davvero questo l’obiettivo, rappresenterebbe una scelta inaccettabile sulla pelle di chi ogni giorno garantisce la tenuta del sistema sanitario.

Se questa misura avesse davvero a cuore l’igiene, allora si sarebbero previste soluzioni per garantire l’effettiva fruizione della pausa. Ma quando a essere penalizzati sono solo infermieri, medici e operatori sanitari, mentre altre categorie di lavoratori possono consumare il proprio pasto senza intoppi, viene il dubbio che l’interesse primario non sia la sicurezza, ma il bilancio aziendale.

È inaccettabile che chi si prende cura dei pazienti venga trattato come un “problema di gestione economica”, e che una pausa di 30 minuti prevista dal contratto venga trasformata in un miraggio. Il rischio, a lungo termine, è evidente: se gli ospedali diventano luoghi dove lavorare significa essere sottoposti a continui tagli e restrizioni, chi sceglierà ancora di indossare il camice?

Certo, sarebbe grave se, dietro una motivazione apparentemente legittima, si celasse un disegno più ampio volto a contenere la spesa, sacrificando, ancora una volta, il benessere e i diritti di chi lavora in prima linea. 

Una riflessione doverosa, che merita attenzione e trasparenza. Perché quando le scelte gestionali impattano sul diritto al mantenimento delle energie psicofisiche del personale sanitario, un recupero necessario e funzionale al corretto assolvimento degli obblighi istituzionali, allora non è solo una questione di risparmio: è una questione di sicurezza per chi cura e per chi viene curato.

Se la sanità pubblica vuole continuare a funzionare, non può permettersi di trasformare i suoi operatori in atleti da Guinness dei primati, costretti a sprintare per un boccone al volo.

La domanda è lecita: stiamo parlando di tutela della salute pubblica o di un’operazione contabile travestita da norma igienica?

Di fronte a scelte che penalizzano chi garantisce l’assistenza sanitaria, viene anche da pensare che, di questo passo, il vero problema non sarà più il tempo della pausa ma l’assenza di chi dovrebbe prendersi cura dei pazienti.

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