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Fuga degli infermieri: una società che smette di valorizzare chi cura.

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Ogni giorno, mentre lottiamo contro la nostra stanchezza, rincorriamo le nostre priorità e viviamo i nostri drammi, la figura dell’infermiere sembra sparire sempre più dal nostro radar. Eppure, è proprio lui che ci solleva dal precipizio quando siamo vulnerabili, che tiene la mano del paziente nell’oscurità, che sorride dietro una mascherina mentre ci rassicura. Non sono eroi, sono professionisti dimenticati da un sistema che li ha ridotti a ingranaggi di una macchina sempre più arrugginita.

Da anni ormai, i media e i politici si affannano a discutere del massiccio esodo degli infermieri dal settore pubblico. Ma dietro alla narrativa convenzionale che solleva la questione salariale e le condizioni di lavoro, c’è un’altra riflessione che pochi sembrano avere il coraggio di sollevare: siamo davvero disposti a trattare il nostro sistema sanitario come un sistema di cura, o lo stiamo sempre più considerando come una “fabbrica” di prestazioni? In altre parole, stiamo perdendo il senso profondo del nostro legame con chi ci cura, o siamo diventati troppo disinteressati per curare anche il nostro sistema di cure?

La fuga degli infermieri non è solo un problema di stipendi bassi o di turni massacranti. È il segno di un disagio esistenziale, un’espressione di un settore sanitario che sta perdendo di vista la sua missione: prendersi cura della vita in tutte le sue forme. È una crisi di identità professionale. E non è solo la professione infermieristica a essere messa in discussione. È il nostro concetto di salute e benessere. Una società che non è disposta a investire nelle persone che quotidianamente proteggono la nostra salute non è una società che sta davvero investendo nella propria salute.

L’infermiere, oggi, non è più solo un operatore sanitario. È un terapeuta, un ascoltatore, una persona che, con l’assistenza quotidiana, costruisce legami che vanno oltre il semplice gesto tecnico. Eppure, quante volte li vediamo come figure marginali? Quante volte parliamo della salute senza mai nominare la forza e la dedizione che si celano dietro il lavoro infermieristico? Se davvero credessimo nel valore umano della cura, non avremmo mai accettato un sistema in cui gli infermieri sono pagati poco, trattati male e sottovalutati.

Il fenomeno della fuga è, quindi, anche il sintomo di una malattia più profonda: quella di una società che sta perdendo il contatto con l’umanità e con il valore delle relazioni. È facile parlare di “professionisti della salute” quando parliamo di medici, ma più difficile quando pensiamo agli infermieri, che svolgono il lavoro meno visibile ma altrettanto fondamentale. E qui arriva la domanda provocatoria: in un contesto di crescente individualismo e distacco emotivo, siamo davvero pronti a mettere in discussione le nostre priorità e ridare centralità a chi ci aiuta nei momenti più vulnerabili della vita?

Gli infermieri non sono più disposti a farsi inghiottire in un sistema che li sfrutta senza restituire loro il minimo riconoscimento. Quello che oggi molti di loro cercano, non è solo un lavoro migliore, ma una condizione che restituisca dignità alla loro professione. Non si tratta più solo di una questione economica, ma di una battaglia culturale, che riguarda il modo in cui la società si relaziona con il concetto di cura e con il valore di chi se ne occupa. Se non riusciamo a risolvere questa crisi, se continuiamo a guardare da fuori, senza entrare nel merito della trasformazione necessaria, rischiamo di scomparire noi stessi, insieme a chi ci aiuta a non scomparire quando ne abbiamo più bisogno.

Perché l’infermiere che oggi sceglie di andarsene non è solo un errore del sistema, è un atto di ribellione a una società che non ha più tempo per ascoltare chi si occupa degli altri. E se la cura viene trattata come una merce, se la vita stessa viene mercificata, a chi rimarrà il compito di prenderci per mano quando crolleremo, fisicamente ed emotivamente?

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  • Screenshot-2024-10-05-alle-06.26.43 Fuga degli infermieri: una società che smette di valorizzare chi cura.

    Alessandro Del Vecchio, infermiere con consolidata esperienza nei reparti di chirurgia, terapia intensiva e nel coordinamento, attualmente ricopre anche il ruolo di docente universitario, contribuendo alla formazione delle future generazioni di professionisti della salute. Nonostante il conseguimento di tre lauree e cinque master, continua a perseguire nuove opportunità di apprendimento e sviluppo nel campo della sanità e dell'insegnamento.

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Alessandro Del Vecchio, infermiere con consolidata esperienza nei reparti di chirurgia, terapia intensiva e nel coordinamento, attualmente ricopre anche il ruolo di docente universitario, contribuendo alla formazione delle future generazioni di professionisti della salute. Nonostante il conseguimento di tre lauree e cinque master, continua a perseguire nuove opportunità di apprendimento e sviluppo nel campo della sanità e dell'insegnamento.

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